E’ passato più di un anno da quando il Governo Letta, il 23 dicembre 2013, ha istituito il Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà. Sembrò quello il modo più limpido per rispondere alle polemiche suscitate dall’interessamento della Ministra Cancellieri alle sorti penitenziarie di una detenuta d’eccezione, figlia di amici di famiglia. Attraverso l’istituzione del Garante delle persone private della libertà sarebbe stata assicurata a qualunque detenuto, quale che fosse il suo status sociale e giudiziario, la possibilità di accedere a un’autorità indipendente capace di verificare e sollecitare la garanzia dei diritti previsti dall’ordinamento prima di avviare un formale ricorso giurisdizionale.
E’ una vecchia campagna di Antigone e delle altre associazioni impegnate nella tutela e nella promozione dei diritti dei detenuti, questa dell’istituzione di un’autorità indipendente non giurisdizionale. Ne cominciammo a discutere quasi vent’anni fa, a Padova, confrontandoci con magistrati di sorveglianza della levatura di Alessandro Margara e Giancarlo Zappa. E’ del gennaio 1999 la prima proposta di legge, sottoscritta da senatori di quasi tutti i gruppi parlamentari dell’epoca; ma non se ne fece nulla, in quella come nelle successive legislature. Fino allo scorso anno e a quel decreto governativo. Nel frattempo, molte regioni e amministrazioni locali sedi di istituzioni penitenziarie e di centri di detenzione per stranieri hanno istituito garanti regionali e locali, cui – non senza fatica – è stato riconosciuto un potere di visita alle istituzioni penitenziarie e che, nei limiti del possibile e secondo la capacità di ciascuno, in questi anni hanno contribuito a denunciare le condizioni più intollerabili di trattamento dei detenuti.
I garanti istituiti da enti territoriali hanno potere esclusivamente nei loro confronti, richiamandoli alle loro responsabilità nella tutela della salute e nella predisposizione di politiche sociali e del lavoro finalizzate al reinserimento dei detenuti, ma nulla possono di fronte all’azione e alle responsabilità delle amministrazioni dello Stato. Per questo è necessario un Garante nazionale dei detenuti cui rispondano il ministero della giustizia e quello dell’interno in primis. E serve tanto più oggi che il procedimento giurisdizionale di tutela dei diritti dei detenuti è stato tanto formalizzato quanto, inevitabilmente, burocratizzato. E serve tanto più oggi che l’Italia, sotto osservazione internazionale, ha ratificato l’adesione al protocollo opzionale delle Nazioni unite contro la tortura che prevede in ciascuno Stato membro l’istituzione di un’autorità nazionale indipendente di monitoraggio delle condizioni di detenzione. Serve, ma non c’è.
E’ passato più di un anno dall’istituzione del Garante, ma la sua nomina ancora non c’è stata. Avrebbe dovuto essere nominato, “previa delibera del Consiglio dei ministri, con decreto del Presidente della Repubblica, sentite le competenti commissioni parlamentari”. E questa è la ragione della petizione indirizzata da Antigone al Presidente della Repubblica affinchè nomini il Garante prima di lasciare il Quirinale. Giorgio Napolitano è stato sensibile quanto altri mai, in quel ruolo, alle condizioni di vita dei detenuti. Ricordiamo la sua denuncia dell’ “estremo orrore” degli ospedali psichiatrici giudiziari e la costante sollecitazione alla riduzione della popolazione detenuta, fino all’unico formale messaggio inviato alle Camere nell’ottobre del 2013. Perché non consentirgli di apporre la sua firma in calce al decreto di nomina del primo Garante nazionale delle persone private della libertà?