Si vede ancora bene, nel parco dell’ex manicomio di Trieste, il murale La libertà è terapeutica disegnato dal pittore Ugo Guarino in un pomeriggio d’estate del 1973, all’inizio del lavoro di Franco Basaglia e del suo gruppo. Tutto sommato, quello slogan ha messo radici nella società italiana, anche se, in realtà, in modo parziale, distorto. Se infatti è passato il rifiuto del manicomio, è invece rimasta in ombra l’altra faccia di quell’idea: la libertà è terapeutica in quanto il suo riconoscimento restituisce, o meglio non toglie più, capacità e responsabilità alla persona malata, che quindi mantiene diritto di parola sul “suo bene”, in nome del quale la sua libertà non deve essere compressa, né la sua dignità offesa o il suo punto di vista ignorato. La libertà terapeutica mette quindi in questione ogni forma di tutela pagata al prezzo dei diritti, ogni “statuto speciale” che riconoscendo una malattia, una disabilità, una minorità collochi la persona malata, disabile, minore fuori dalla cittadinanza, col suo corollario di diritti e responsabilità. È un processo complesso, difficile includere e mantenere tutti, specie le persone più deboli o in difficoltà, nella cittadinanza. Esige trasformazioni profonde nell’organizzazione dei servizi, nei saperi specialistici, nel senso comune. L’Italia è tra i paesi europei quello che ha fatto i maggiori passi in questa direzione: abbiamo chiuso i grandi manicomi pubblici e le scuole speciali; si sono radicate e diffuse le imprese sociali in cui persone con problemi mentali fanno lavoro vero e non ergoterapia; la legge sull’amministratore di sostegno agevola l’esercizio dei diritti civili e riduce il ricorso all’interdizione, che peraltro si sta cercando di abolire. Ma molto resta ancora da fare per eliminare dall’ordinamento e dalle politiche le tutele che sottraggono i diritti: la più grave, resta la legislazione sul malato di mente autore di reato e sugli ospedali psichiatrici giudiziari (Opg), nati per sottrarre il reo malato alla punizione ma rivelatisi poi punizioni peggiori del carcere. Ma proprio su questo tema due proposte recenti sembrano invertire il percorso che in questi anni si è fatto strada. Le due proposte delineano infatti, su piani diversi, un regime speciale che prevede istituti sanitari di cura e custodia del tutto simili, anche se su scala ridotta, ai manicomi che la “legge 180” ha voluto abolire.
La prima proposta fa parte delle linee per la riforma del codice penale predisposte dalla “Commissione Pisapia” che suggerisce, all’art.22, che «vengano considerate cause di esclusione dell’imputabilità l’infermità, i gravi disturbi della personalità, l’intossicazione da alcool o da sostanze stupefacenti se rilevanti rispetto al fatto commesso». Ai non imputabili va applicata «una misura di cura e controllo» che «tenga conto della necessità della cura» e che non superi in durata la pena che si applicherebbe a una persona imputabile. Lo stesso articolo indica diverse modalità e sedi di esecuzione della misura. In alcuni casi si tratta di strutture residenziali sanitarie (sono indicate «strutture terapeutiche protette o con finalità di disintossicazione e comunità terapeutiche»), in altri sembra invece prevista una dissociazione tra sfera terapeutica e controllo, in quanto quest’ultimo si può declinare come obbligo di presentazione all’autorità di polizia.
Nell’insieme, sembra affermarsi, in questa proposta, una linea opposta a quella cui era arrivato, alla fine degli anni ‘80, il dibattito in tema di imputabilità, che tendeva a prefigurare dispositivi che restringessero in modo rigorosamente eccezionale l’ambito in cui poteva essere riconosciuta questa condizione, da cui discendeva il disinteresse dello Stato a punire e l’affidamento a strutture sanitarie ordinarie. Qui si propone invece un meccanismo che può allargare a dismisura il numero dei potenziali non imputabili, di coloro cioè cui non è riconosciuto il diritto a essere fatti responsabili dei propri gesti, e quindi anche puniti, in forme che evidentemente tengano conto del diritto alla salute. In conseguenza, si rende necessaria una istituzione che mescola, di nuovo, il curare e il punire, con custodi in camice bianco che riducono le libertà in nome e in forma di cura.
Il documento elaborato dal gruppo di lavoro interministeriale per il superamento degli Opg evidenzia bene gli esiti istituzionali di una tale linea di riforma dell’imputabilità. Il testo prevede, in una prima fase, interventi certamente appropriati per ridurre l’accesso agli attuali Opg e la durata dei tempi di internamento, attraverso la costruzione di progetti personalizzati da parte delle Asl da cui gli internati provengono. Il documento prosegue però immaginando anche il medio e lungo periodo, in cui, al posto degli attuali Opg, vi sarebbero: 300 posti letto in tre Opg e 200 in centri di psichiatria penitenziaria gestiti tutti dall’amministrazione penitenziaria; 300 letti in centri diagnostico terapeutici di 15 letti ciascuno distribuiti in tutte le regioni; 500 posti letto in «strutture residenziali ad Alta Intensità terapeutica e media sicurezza» gestiti dalle Asl nelle varie regioni; 500-1.000 posti letto in «strutture residenziali a Media Intensità terapeutica e bassa sicurezza», gestiti anche questi dalle Asl nelle varie regioni. Come si vede, non solo i circa 1200 letti degli attuali Opg raddoppierebbero, ma andrebbero alle Asl, e verrebbero riconsegnati a strutture psichiatriche, il controllo di quote di pericolosità sociale e la responsabilità della custodia.
È una strada già percorsa questa, con esiti come sappiamo non brillanti sul piano dei costi/benefici sociali. Tuttavia, questo assai discutibile approdo parte, come si è detto, dalla volontà, per ora solo indicata, di metter mano davvero alla situazione del migliaio di internati nei sei Opg in funzione. Partendo da qui, dalle persone, dai loro problemi, dai mezzi per affrontarli, dalle “buone pratiche” che anche in questo campo si sono affermate sarà più facile e produttivo riprendere il dibattito, che si è interrotto anni fa, sul curare e sul punire, e sui valori e gli strumenti dell’una e dell’altra funzione.