Arezzo wave, appuntamento annuale di musica di qualità per migliaia di giovani, annuncia la sua chiusura. Perché? Colpa della droga, dicono gli organizzatori. Ne circola troppa.
A dire il vero, gli stessi ammettono che da tempo ragionavano su come e se la città potesse reggere l’impatto di una manifestazione in continua crescita, ma poi, alla fin fine, decidono di chiudere sull’onda di una trasmissione delle Iene che mostra come tra i giovani spettatori sia diffusa la vendita e il consumo di sostanze.
La droga, insomma, è sempre una buona ragione: per tirar su muri della vergogna, come a Padova, per chiudere centri sociali, come a Bologna, per smantellare una delle migliori manifestazioni musicali del paese, come ad Arezzo. C’è stato anche chi avrebbe voluto svuotare mezzo Parlamento a forza di test. C’è da far invidia alla war on drugs americana, ormai siamo un paese ipocrita in preda a delirio proibizionista.
Che le sostanze tra i giovani siano diffuse lo sa anche un bambino; che i consumi di massa siano un fatto culturale e generazionale, anche. Che il consumo di droghe sia un’esperienza – per altro per lo più temporanea – che solo in una percentuale minima di casi diventa un problema, lo sanno quelli che non sono ipocriti, e che non hanno ragioni per strumentalizzare il fenomeno. Che nel consumo di sostanze vi siano dei rischi ma che una buona informazione e prevenzione li possano tenere sotto controllo, lo sappiamo in tanti, ma molti fanno finta di non saperlo. Pochi ammettono che, invece, è l’ipocrisia a uccidere: perché nasconde, criminalizza, isola.
E allora, ad Arezzo Wave, invece di criminalizzare e creare inutili e falsi allarmi, sarebbe meglio trar profitto dalla rara, grande occasione di poter incontrare tanti giovani, consumatori inclusi, e tutti in una volta, e – come la politica di riduzione del danno insegna – lavorare con loro per prevenire e ridurre i danni del consumo, per consumare in modo più consapevole e meno rischioso. La città invece di espellere, scandalizzata e ipocrita, il festival, potrebbe diventare leader di un serio, pragmatico e capillare lavoro di riduzione del danno. Invece di chiudere i battenti o ingaggiare poliziotti e cani antidroga, potrebbe invitare le unità di strada di tutta Italia in uno straordinario e proficuo convegno. Guadagnando in salute pubblica, prevenzione, cultura e capacità di relazione con il mondo giovanile. E in civiltà.