(Ansa, 28 settembre 2007) Almeno 1.591 vite sono state spezzate dalla pena capitale, in 25 Paesi, nel solo 2006. E duecentonovantaquattro da gennaio ad oggi. Senza considerare le condanne a morte eseguite in Cina, dove le statistiche sono considerate ancora segreto di Stato. I dati reali potrebbero essere molto più alti, ma se confrontati con quelli dell’anno precedente – 2148 prigionieri uccisi in ventidue Paesi e almeno 5186 imputati condannati in altri cinquantatre Stati – sembrano segnare una positiva inversione di tendenza.
Il 91 per cento delle pene eseguite nel mondo si concentra in pochi Paesi: Cina, Iran, Iraq, Sudan, Pakistan e Usa. In Cina, Amnesty stima tra le otto e le diecimila esecuzioni all’anno. Almeno 1010 nel 2006. Ma si tratta di cifre dedotte dalle informazioni di ufficiali locali e giudici e che lasciano ampi coni d’ombra sui numeri reali.
Secondo Amnesty, fonti attendibili suggeriscono che nel Paese siano state messe a morte, lo scorso anno, tra le 7500 e le ottomila persone. Una certa evoluzione del diritto ha ridotto le modalità di esecuzione – un tempo si applicavano pratiche tipo l’asportazione della pelle o lo squartamento dove il corpo veniva legato a quattro cavalli fatti partire improvvisamente in diverse direzioni – ma restano ancora tanti i reati punibili con la morte. Il codice penale del 1997 ne elenca circa sessantotto.
A parte la Cina, i cui dati non sono quantificabili, il primato delle condanne a morte dello scorso anno è detenuto dall’Iran, il cui sistema giuridico si basa sui principi religiosi. Alle 177 morti riportate nelle cifre ufficiali del 2006 – di cui quattro nel solo giorno di Natale – se ne aggiungono almeno 114 nel 2007, di cui tre minorenni. Solo per il reato di droga, si contano, dal 1991 al 2001 cinquemila esecuzioni e più di novantamila arresti.
Segue il Pakistan, con 82 pene eseguite nel 2005, 82 nel 2006 e quattro quest’anno. Nel 1947 solo due reati venivano puniti con la morte: l’omicidio e il tradimento. Ma durante il regime del generale Ziaul Haq le fattispecie sono aumentate e così ora sono ben 27 i crimini passibili di condanna capitale. A questi si è venuta ad aggiungere, nel 1985 la legge contro la blasfemia, che ha aperto la via del carcere a non pochi cristiani e musulmani. Il presidente Musharraf, il 13 dicembre 2001 ha convertito in prigionia la pena di morte per i minorenni e nel novembre 2006 ha sottratto alle esecuzioni il reato di adulterio. A gennaio 2007 la Commissione dei diritti dell’uomo del Pakistan ha pubblicato un rapporto che testimonia più di 7400 condannati a morte e 1029 esecuzioni tra il ‘75 e il 2002.
In Iraq, la condanna capitale è stata reintrodotta nell’agosto del 2004 per reati contro la sicurezza nazionale, l’omicidio premeditato, il traffico di droga e, in alcune circostanze, per il rapimento. Nel corso del 2006 sono state impiccate almeno 65 persone, uomini e donne, compreso l’ex rais Saddam Hussein. E altre trenta esecuzioni sono state compiute nel 2007. Tra questi, il 15 gennaio, il fratellastro di Saddam, Barzan Ibrahin al-Tikriti e l’ex presidente del Tribunale rivoluzionario, Awad Hamad al – Bandar.
Il 12 febbraio il Tribunale penale supremo iracheno ha condannato a morte anche l’ex vicepresidente Taha Yassin Ramadhan, rivedendo la sentenza di ergastolo comminata il 5 novembre 2006 nel processo contro Saddam. E, secondo notizie prevenute ad Amnesty, sembra imminente l’esecuzione di quattro donne detenute nella prigione al-Kadhimiya di Bagdad. Due di loro hanno con sé i figli: Zeynab Fadhil una bambina di tre anni e Liqà Qamar una di appena un anno, nata in carcere.
Negli Stati Uniti cinquantatre persone nel braccio della morte sono state uccise in dodici Stati nel 2006 – il numero più basso degli ultimi dieci anni – ed altre trenta quest’anno. Cifre che hanno fatto salire a 1057 il numero totale delle esecuzioni dal 1977, anno in cui è stata ripresa l’applicazione della pena di morte.
Un terzo dei 38 Stati che la applicano ha sospeso o sta ritardando le esecuzioni, ma in Texas, Tennessee, Virginia, Missouri, Georgia e Utah è in corso una discussione per estendere la pena anche ad altri reati. In particolare, in Georgia si propone di non chiedere più l’unanimità dei giurati, ma solo nove voti su dodici mentre lo Utah ha votato una legge che prevede la morte per chi uccide un minore di 14 anni.
Il 31 gennaio New York ha deciso una nuova condanna, la prima negli ultimi cinquant’anni, accompagnata da tre esecuzioni in Texas e una in Oklaoma. Buone notizie arrivano invece dal New Jersey: il primo dei 38 Stati mantenitori ad introdurre per legge una moratoria sulle esecuzioni ha istituito una commissione di studio per esaminare diversi aspetti della pena, dalla correttezza delle procedure ai costi. L’ultima esecuzione risale al 1963, ma 3350 sono i prigionieri ancora nel braccio della morte.
Segue l’Arabia Saudita: i dati ufficiali riportano 38 esecuzioni pubbliche nel 2006, almeno 104 nel 2007 e 126 minorenni nel braccio della morte. Le condanne vengono realizzate per decapitazione, nei luoghi più frequentati, dopo la preghiera del venerdì. Con le esecuzioni di quattro cittadini dello Sri Lanka, il 19 febbraio scorso, sale a diciassette il drammatico conteggio del 2007.
In soli due mesi, il Paese di re Abdullah ha eseguito la metà del numero delle esecuzioni dello scorso anno. Amnesty segnala processi a porte chiuse e senza avvocati, imputati che non conoscono le accuse, confessioni estorte con la tortura e assistenza consolare limitata per gli stranieri. Ma forse qualche spiraglio si sta aprendo: il 13 gennaio il presidente della Commissione saudita per i diritti umani ha annunciato la commutazione della condanna a morte di Hadi Sàeed al-Muteef, prigioniero di coscienza i carcere dal 1994 per commenti contrari alla sharìa.
Il Giappone, dopo una moratoria informale dall’89 al ‘93, nel Natale scorso ha eseguito le condanne nei confronti di Hidaka Hiroaki, 44 anni, Fukuoka Michio, 64 anni, Fujinami Yoshio, 75 anni e Akiyama Yoshimitsu, 77 anni. Almeno cento sono i prigionieri che attendono nelle carceri il giorno della propria esecuzione.
Scrive Amnesty nel rapporto di gennaio 2007: “Mentre la Corea del Sud e Taiwan considerano seriamente la possibilità di bandire la pena di morte dalle rispettive legislazioni, il Giappone continua con le impiccagioni, in netta controtendenza rispetto ad altri Stati della stessa regione come Cambogia, Nepal, Timor Est e le Filippine”. Con la morte del trentottenne Yasutoshi Matsuda, il 6 febbraio di quest’anno, è arrivato a novantanove il numero dei detenuti nel braccio della morte. Tre le esecuzioni nel 2007.
In Vietnam, dove la pena capitale si applica per 29 reati, il 2006 si è chiuso con un bilancio di tredici esecuzioni e il 2007 si è aperto con diciassette condannate a morte. In Kuwait, lo scorso anno si sono registrate nove esecuzioni ufficiali. Quattro in Giordania, sei in Bangladesh, almeno due in Egitto e nello Yemen, due a Singapore, uno in Indonesia. Nel Bahrain, che nel 2003 ha votato contro la risoluzione dell’Onu sulla pena di morte, tre persone sono state uccise lo scorso anno ed una nel gennaio 2007. Anche l’Indonesia, ha aperto l’anno con una condanna, Mentre a Cuba, dove l’ultima esecuzione risale al 2003, sono circa quaranta i detenuti in attesa dell’esecuzione.