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La pace in Medio Oriente passa attraverso un joint di marijuana? E’ quello che israeliani e palestinesi si sono chiesti durante la prima conferenza sul Joint israelo-arabo per la questione della politica della pace e degli stupefacenti in Medio Oriente, tenuta il 25 ottobre scorso nel campus del Monte Scopus, dell’Università di Gerusalemme.

Il logo del partito Alé-YarokDietro il richiamo del partito israeliano Alè-Yarok, il partito della Foglia verde, primo organizzatore della conferenza, il campus del Monte Scopus è stato invaso da un gruppo eterogeneo di israeliani e arabi: studenti, pensionati, giovani lavoratori e hippy di vecchia data con l’obiettivo comune di discutere insieme sulla possibilità di riportare la pace in Medio Oriente attraverso la legalizzazione e l’uso di sostanze come marijuana e hashish. Nonostante i motivi del richiamo, degni di un raduno in perfetto stile anni Settanta, resterebbe deluso chi si aspetta di trovarsi di fronte un esercito compatto di ragazzi e ragazze sotto l’effetto di sostanze stupefacenti. Non a caso, quando dal palco il cantante del gruppo rock Primo Levy dichiara “Sono contro le droghe, non faccio uso di stupefacenti”, un anonimo spettatore ha gridato dalla platea: “Noi, si”, dimostrando come sia possibile ritrovarsi e discutere guardando il mondo da prospettive decisamente diverse.

Improbabile bandiera israelianaBoaz Wechtel, leader dello Alè-Yarok, illustra i benefici di un simile approccio alla pace in tre punti: legalizzare le droghe leggere per sottrarre fondi ai gruppi armati che si finanziano tramite il commercio illegale, risollevare il settore agricolo grazie alla coltivazione della cannabis e ridurre il livello di aggressività umana attraverso l’uso della marijuana e dell’hashish. Insomma la cannabis come denominatore comune di culture e nazioni diverse; base per costruire un futuro migliore che passa attraverso il fumo di un calumet della pace.

La manifestazione è stata però complicata dalla difficoltà avuta da parte degli organizzatori nel contattare un numero maggiore di oratori arabi disposti a parlare apertamente di un argomento così delicato, difficoltà dovuta probabilmente al fatto che nel mondo arabo parlare apertamente delle droghe è ancora un tabù. Sono significative però le parole che Shirin Yassin, ragazza palestinese di 24 anni che lavora per una radio di Gerusalemme, ha dichiarato in privato a un giornalista del Middle Est Times: “Puoi fare pace con chiunque, ma penso che le droghe siano la strada sbagliata per farlo. Abbiamo così tante restrizioni di movimento e opinione. Non abbiamo libertà per niente. Ci sono problemi ben più grandi per noi dell’essere felici fumando un joint”.