Nella Relazione al Parlamento sullo stato delle tossicodipendenze per il 2006, il ministro per la Solidarietà sociale indica, fra gli altri impegni, «il potenziamento dei percorsi giudiziari e penali, consentendo un più efficace utilizzo delle misure alternative alla detenzione al fine di facilitare i percorsi di cura e di riabilitazione». Diciamo pure che questo è un proposito sempre dichiarato e sempre inattuato. In linea di massima, la legislazione è stata sempre molto larga nel consentire le misure alternative come strumento “ordinario” per l’esecuzione della custodia cautelare e della pena, ma in carcere sono rimasti sempre numeri ragguardevoli di tossicodipendenti.
Al solito, il problema attuale è innanzitutto quello di liberarci dalla Fini-Giovanardi. La quale ha indicato come sua la scelta delle misure alternative e a riprova porta l’aumento a sei anni della pena detentiva ammissibile all’affidamento in prova in casi particolari. Premesso che questo limite è diminuito a quattro anni, come era prima, per coloro che abbiano fra le pene in concorso anche una sola inflitta per un delitto di cui all’art. 4bis dell’ordinamento penitenziario (che vieta la concessione di benefici per reati di pericolosità sociale), si deve rilevare che lo sbandierato allargamento è fittizio: operazione di propaganda. A dimostrazione di questo vediamo i meccanismi reali della legge.
In primo luogo l’abnorme appesantimento delle pene porterà, in generale, una crescita delle stesse tale da rendere modesto anche l’allargamento del limite di ammissibilità a sei anni. Ma sono i percorsi di ammissione e poi quelli di esecuzione per le misure alternative che rivelano l’aumento delle difficoltà per le alternative al carcere. Intanto, c’è una generale difficoltà di certificazione della tossicodipendenza e della idoneità del programma terapeutico: prevalgono i criteri di laboratorio (dipendenza fisica) su quelli di valutazione pluriprofessionale (che vanno oltre la dipendenza fisica, come necessario). E c’è poi un controllo sulla esecuzione, attraverso gli obblighi di segnalazione degli inconvenienti nello svolgimento del programma, che sposta sempre più la valutazione della rilevanza degli stessi sull’organo giudiziario, anziché su quello di gestione del programma (programma che è inevitabilmente segnato da momenti di difficoltà). Ancora sulla ammissione alle misure alternative in esecuzione pena: nel sistema precedente, il controllo del Pm sulle istanze e la conseguente sospensione della esecuzione (salvo le eventuali forzature di ruolo da parte di questo organo), erano di sola legittimità; ora, attraverso il nuovo testo della norma, la possibilità di un accertamento nel merito sono aumentate e, inoltre, nel caso di istanza avanzata dal carcere, la competenza passa al magistrato di sorveglianza con una verifica, per vari e rilevanti aspetti, proprio di merito (come il riferimento «al grave pregiudizio derivante dalla protrazione dello stato di detenzione» o come la necessità di escludere «il pericolo di fuga»).
La conclusione è chiara: l’ammissione alle misure alternative per esecuzione della pena non è affatto più facile (era, almeno teoricamente, automatica, in precedenza), ma assai più difficile, legata alla discrezionalità del giudice che, di questi tempi, non promette nulla di buono, con l’aria securitaria che tira.
E va aggiunto che, nel precedente sistema, la custodia cautelare in carcere doveva essere esclusa, salvo alcuni limiti, quando si prospettava la esecuzione di un programma terapeutico: ora, comunque, al carcere sono necessariamente sostituiti gli arresti domiciliari, in alcuni casi in comunità residenziale: il che significa, non accettando, la gran parte delle comunità, persone agli arresti domiciliari, che tali persone resteranno in carcere.
Altro è l’impegno del progetto Boato (di cui si avvia la discussione alla Commissione giustizia della Camera). Le pene sono generalmente ridotte e in particolare per i tossicodipendenti. Sono inserite nuove misure (esclusione della condanna per irrilevanza del fatto; messa alla prova durante il processo, il cui esito positivo estingue il reato) e per l’affidamento in prova per lo svolgimento di un programma terapeutico sono tolti i limiti massimi di ammissibilità, per cui la misura vale per tutte le pene da eseguire, ma la ammissione deve essere inizialmente in comunità residenziale. Il progetto riprendeva, si noti, le proposte della Commissione La Greca presso il ministero della Giustizia, istituita per la redazione di un disegno di legge che traducesse le conclusioni della Conferenza nazionale per le tossicodipendenze di Napoli del 1997. Certo, chi voleva migliorare la legislazione sugli stupefacenti non è stato molto veloce. Chi voleva peggiorarla è stato, invece, fulmineo. E ora la Fini-Giovanardi continua ad essere legge.
Questo non toglie che, tra gli argomenti della prossima Conferenza nazionale, il tema delle alternative alla detenzione vada affrontato in modo concreto: devono essere diminuiti i tossici in carcere: va definito un progetto perché questo avvenga.
E qui viene subito fuori una difficoltà: quella della insufficienza della rilevazione del funzionamento
– o disfunzionamento – del sistema. Le statistiche su cui si basa la relazione (nel testo e negli allegati) non mi persuadono affatto: anzi, più esattamente, sono sbagliate. Le misure alternative, compresa la semiliberta, che è la minore, erano 49.500 al 31/12/2005 (dati Dap). Per il 2003, i soli affidati risultavano essere 30.417(sempre fonti Dap), di cui 23.584 per affidamenti ordinari e 6.833 per affidamenti ex art. 94. Nella tabella a pag. 178 della Relazione, gli affidati nel 2003 risultavano essere 16.000 circa. Cosa è successo, si tratta di numeri in libertà? Nella stessa tabella della Relazione, nel 2005, gli affidamenti erano ancora circa 16.000 (32.000 in base ai dati Dap) e a fine 2006, con effetto indulto, erano diventati 4.290, se si segue la tavola 3/04bis degli allegati o 11.653, se si segue la Relazione a pag. 178 e la relativa tabella.
L’attendibilità dei dati è scoraggiante. Se, comunque, ci si vuole guardare dentro, lo scoramento cresce. È possibile che, in Lombardia siano stati concessi 3080 affidamenti – ordinari e in casi particolari – e, nel Lazio solo 232? Concludo, per sapere cosa fare bisogna partire da una conoscenza precisa di cosa è stato fatto.