Tempo di lettura: 2 minuti

Tilray sarà il secondo gruppo industriale canadese produttore di cannabis terapeutica a sbarcare oltreoceano dopo che nei giorni scorsi Cronos aveva annunciato che sta collaborando per la realizzazione di uno stabilimento in Israele per l’esportazione in Germania e nel resto d’Europa.

L’azienda, che ha sede nella Columbia Britannica, realizzerà tramite una sussidiaria interamente controllata un impianto a Cantanhede, a 220 chilometri a nord di Lisbona. La struttura andrà in produzione già dalla prossima primavera, creando a regime 100 posti di lavoro. Con la costruzione della prima serra da 32.000 mq la produzione annua prevista è di 10.000 kg di cannabis terapeutica. A regime, nel 2020 si prevede una produzione di 25.000 kg all’anno, dei quali l’80% sarà coltivato in serra e il resto attraverso coltivazioni in campo.

L’impianto, realizzato presso il Biocant Research Park di Cantanhede, sarà costituito da strutture per la coltivazione, la trasformazione, l’imballaggio, la distribuzione ma anche per la ricerca e lo sviluppo. I costi di produzione della cannabis terapeutica, grazie al clima portoghese, saranno inferiori a quelli canadesi. Tilray stima un mercato UE di 10 milioni di pazienti, per un valore di circa 40 miliardi di euro, e ha come obiettivo primario la Germania, il secondo mercato farmaceutico più grande del mondo.

L’interesse canadese per il mercato europeo è sicuramente un buon segno, e non solo perchè denota un’attenzione particolare dell’industria della marijuana nordamericana per lo sviluppo della cannabis terapeutica nell’UE. Le recenti difficoltà di reperimento della materia prima per le preparazioni mediche, che hanno caratterizzato non solo l’Italia, hanno reso evidente la fragilità dell’industria farmaceutica europea incapace di sopperire alle crescenti richieste di medicinali a base di cannabis terapeutica.

Certamente lo sbarco canadese in Portogallo (e Israele) garantirà, almeno dal prossimo anno, una maggiore produzione a servizio dell’UE, e quindi si spera minori difficoltà per i pazienti. Ma rende anche evidente l’arretratezza italiana, ferma ancora ai 100 kg dell’Istituto Chimico Farmaceutico Militare di Firenze ed incapace di attrarre investimenti di questo tipo.