Gli accadimenti di Macerata continuano a produrre paginate sui giornali, ricche di vagonate di commenti, di dichiarazioni, di scontri. L’ultimo colpo è stato esploso sul Corriere della Sera il 23 febbraio scorso da Antonio Polito, editorialista accreditato come raffinato commentatore che si è espresso con mediocre approssimazione mettendo insieme metadone e riduzione del danno, e alla fine invocando il ritorno della guerra alla droga, nonostante i fallimenti evidenti.
E, tuttavia, vi sono molti aspetti lontani da un ragionevole chiarimento. A mio parere, la vicenda si basa su quattro aspetti, alcuni dei quali legati fra loro. Vorrei lasciare fuori la “reazione” del fascista che è legata a pulsioni razziste indiscriminate e a pura violenza ammantata da spirito di vendetta. Così come la orribile vicenda che segue alla morte di Pamela Mastropietro, per la quale c’è da augurarsi che i colpevoli siano individuati, giudicati e condannati come meritano.
La terza questione è la causa della morte; le dichiarazioni degli inquirenti, per ora, sono prudenti. Sembra esclusa la morte per overdose. Una delle ridondanze nelle ricerche su questa evenienza si riferisce all’osservazione per cui un organismo “pulito” (drug free?) non può sopportare l’assunzione di oppiacei improvvisa ed in dosi che, nella fase precedente al percorso drug free, erano abituali. Le overdose all’uscita da una Comunità Terapeutica (volontaria, concordata o temporanea) sono uno dei rischi più conosciuti e temuti. Il corpo non contiene più oppiacei. Ma la testa, la mente si. È il caso della Mastropietro?
Certo, si dice, non avrebbe dovuto uscire dalla Comunità dove era protetta, ma dove quasi sicuramente non stava già bene. Da alcuni organi di stampa si riporta il dubbio dei genitori che nella stessa CT, Pamela potrebbe essere stata molestata. Inoltre, sembra che la ragazza fosse già entrata e uscita dalla stessa struttura nel recente passato.
Poi c’è il quarto punto; il primo in ordine di tempo. Era la Mastropietro un soggetto da Comunità Terapeutica? Una Comunità lontana dal luogo di vita (testimonianza che la banale “lontananza dalle tentazioni” non funziona affatto)? I criteri di inclusione sono stati rispettati? Da moltissimi anni, i pazienti normalmente inseriti in CT sono di età molto più avanzata. C’è da sperare che qualcuno si chieda chi e su quali basi ha autorizzato l’ingresso di un soggetto come la ragazza. Quale diagnosi? Quale programma terapeutico? Quali servizi pubblici hanno inviato la paziente da Roma a Corridonia? Quali servizi pubblici sono deputati al monitoraggio?
Dalla CT, lo sappiamo, si può uscire, si può anche scappare (in gergo tecnico si chiamano dimissioni non concordate), ci si allontana, ci si ritorna. Ma tutta questa storia orrenda serva almeno per capire quali sono le procedure corrette, se chi doveva vigilare sulle strutture l’ha fatto, se non si fosse di fronte ad un soggetto da sostenere anche in altro modo che non il semplice “drug free”.
La miserabile “politica” attuale sta discutendo della vicenda attraverso la porta della sicurezza, dell’immigrazione; per ora, non una parola sulla persistenza di consumi problematici come questi, sull’esigenza di ridiscutere dalle fondamenta un sistema di interventi obsoleto, fragile, negletto, disastrato. Le occasioni per dibattere questi temi sono letteralmente scomparse; il primis la Conferenza Nazionale non convocata da nove anni. Il tema è “divisivo”. Ci spiegate chi dividerebbe? Chi sta da una parte e chi dall’altra? All’orizzonte si vedono solo quelli che dicono che la droga è merda, i drogati fanno schifo, gli spacciatori bisogna prenderli a pistolettate. Chi ha altre opinioni in merito?