Dal nostro corrispondente dagli USA – Il Procuratore Generale statunitense, Jeff Sessions, la settimana scorsa ha deciso di rescindere le linee-guida applicate durante l’amministrazione Obama che consentivano ai singoli Stati di implementare normative proprie rispetto alla cannabis legale con il tacito beneplacito delle autorità federali.
Il cosiddetto del “Cole Memorandum” del 2013 garantiva il via libera alla depenalizzazione all’interno dei confini statali, pur consentendo interventi repressivi in determinate circostanze. In pratica, le autorità statali potevano procedere sulla strada della legalizzazione senza dover temere intrusioni in base alle correnti norme federali, che includono tuttora la marijuana nella Tabella I (nessun valore terapeutico, forte rischio d’abuso, pene draconiane per l’uso ricreativo).
Invece ora, in base alle nuove policy, saranno i Procuratori nazionali ad agire come meglio credono nelle rispettive circoscrizioni, aprendo così le porte a possibili e indiscriminati interventi delle forze dell’ordine. L’esatto opposto di quanto accaduto negli ultimi anni, con l’approvazione di leggi locali a sostegno della cannabis medica fin dal 1996 (oggi legale in 30 Stati) e più recentemente anche a scopo ricreativo in otto Stati: è di pochi giorni fa, primo gennaio 2018, l’apertura al pubblico maggiorenne delle prime rivendite in California. E recenti sondaggi confermano che oltre il 60% degli americani ne vede con favore la legalizzazione totale.
Una decisione inattesa per il vasto bacino pro cannabis legale, con attivisti e cittadini locali in prima fila, e del tutto opposta ai pilastri dell’approccio conservatore (autonomia dei singoli Stati e deregulation imprenditoriale), pur se in linea con la schizofrenia decisionale che contraddistingue l’amministrazione Trump. Ignorando altresì l’ampio sostegno bipartisan a queste norme statali e le precedenti dichiarazioni in cui lo stesso Trump ribadiva come fosse meglio lasciare la questione nelle mani dei legislatori locali.
Immediate le reazioni negative di organizzazioni e politici, a partire da ampi rilanci sui social media. Molti sottolineano l’ovvia contraddizione per cui adesso gli Stati Usa avrebbero il diritto di approvare proprie normative per alcol, armi, salute e molto altro, ma non così per la marijuana.
Il Senatore Democratico del New Jersey, Cory Booker, rimarca il fallimento del proibizionismo e l’urgenza di avviare la discussione in aula del suo Marijuana Justice Act. E il Senatore Repubblicano Cory Gardner ha minacciato di bloccare tutte le nomine proposte dal Ministero di Giustizia finché Jeff Sessions non tornerà su suoi passi e manterrà la promessa di non interferire con la legalizzazione già approvata nel suo Stato, il Colorado.
Secondo l’Aclu (American Civil Liberties Union), Jeff Sessions «vorrebbe riproporre quella War on Drugs che ha fallito su ogni fronte e ha distrutto le comunità di colore». Aggiunge Maria McFarland Sánchez-Moreno, direttore esecutivo della Drug Policy Alliance: «L’ossessione di Jeff Sessions con il proibizionismo va contro ogni logica, minaccia il successo delle riforme in corso a livello statale e si fa beffe del diffuso sostegno più volte espresso dal pubblico per la legalizzazione».
Mentre la stessa Casa Bianca appare confusa sulle modalità delle nuove policy, limitandosi a sostenere di «voler applicare le attuali normative federali», dubbiose anche le prime reazioni del business della marijuana, il cui fatturato del 2017 ha superato gli 8 miliardi dollari e nei prossimi tre anni potrebbe toccare i 23 miliardi a livello nazionale, creando oltre 280.000 nuovi posti di lavoro. Spiega Chris Walsh (Marijuana Business Daily): «È troppo tardi per smantellare un’industria simile, impossibile rimettere il genietto nella bottiglia». Anche le maggiori testate giornalistiche sollevano perplessità sugli effetti concreti di questo dietro-front delle autorità federali, e US News suggerisce che «il Procuratore Generale sta combattendo una battaglia persa contro gli Stati che legalizzano la marijuana».
Il variegato fronte dell’attivismo politico e dell’annesso settore economico della cannabis legale sta insomma affilando le armi in vista delle prossime mosse governative.