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San Francisco è una città singolare. Saliscendi incredibili, spazi immensi, mille etnie. Rappresenta un ibrido: c’è Asia, Messico, Europa e anche tanta Italia. La città costruita sui detriti oceanici e attraversata dai terremoti vive ogni giorno all’avanguardia di se stessa. Tecnologia, arte contemporanea, politiche eco-sostenibili, diritti civili. San Francisco è anche la città della protesta, dei poeti beat, della generazione hippie. Una terra di frontiera tra occidente e oriente, una città che ogni giorno si fa scoprire.
Al 1933 di Mission Street, quartiere messicano, c’è un negozio molto interessante: il San Francisco’s finest medical marijuana dispensary. Si tratta di uno shop della canapa medica. Si entra e si compra, se si è un paziente registrato e in possesso di una speciale “ID card”. In quel momento ho pensato all’Italia e ai tanti amici pazienti costretti al mercato nero da una legge cieca che non riconosce dignità alla sofferenza di chi chiede il diritto di curarsi con i principi attivi della canapa. Al contrario dell’Italia, dal 2004 lo stato della California parla chiaro. In primo luogo, consente a qualsiasi medico di prescrivere canapa ai propri pazienti. In più, il Senate Bill 420 – questo il nome della legge in questione – consente ai pazienti di coltivare la propria canapa, da soli o in piccoli club. Questo codice fa capo a una legge del 1996, il Compassionate Use Act, che tutela i diritti dei pazienti che utilizzano la canapa a fini terapeutici. Ad esempio, si legge che i medici e i pazienti non devono in alcun modo essere coinvolti in provvedimenti restrittivi o in sanzioni per la prescrizione e l’uso di canapa nel trattamento di specifiche patologie tra cui cancro, anoressia, Aids, dolori cronici, spasticità, glaucoma, artrite, emicrania o qualsiasi altra malattia per la quale la canapa fornisca aiuto terapeutico. Sulla carta mi è parso un esempio di grande civiltà e ho pensato di entrare in uno di questi shop per chiedere informazioni. Missione impossibile. Di fronte all’ingresso di uno dei dispensari – per la precisione nel quartiere Castro – mi spiegano che si entra soltanto se si è pazienti registrati e in possesso della carta di riconoscimento. Mi consigliano di tornare la settimana successiva per una visita che comprovi la mia necessità di curarmi con la canapa; un medico valuterà il mio caso. Ovviamente tutto ciò è precluso a un cittadino europeo con un visto temporaneo, ma faccio finta di nulla, saluto e ringrazio.
Pochi giorni dopo alcuni amici mi parlano di Luca, un giovane italiano che usa canapa a fini terapeutici in seguito a due gravi incidenti stradali. Luca ha circa trent’anni, lavora nel settore della ristorazione e vive con la moglie e la figlia a San Francisco ormai da diversi anni. Ci incontriamo in downtown al bar di una grande libreria di quattro piani. Mi racconta della particolare congiuntura che fa della California, e di San Francisco in particolare, un’officina sperimentale per l’uso della canapa terapeutica, in aperto contrasto con le leggi federali degli Stati Uniti. «Si tratta – dice Luca – di un’imponente contraddizione. Mentre gli stati legiferano in autonomia per la tutela dei pazienti e la libertà di cura, le leggi federali criminalizzano qualsiasi uso della canapa e la polizia persegue i malati, trascinandoli in carcere e in tribunale». Luca non è un attivista e nelle sue parole scorgo un sentimento di paura. «Non vorrei mai – mi dice – che questo medicinale così importante per la qualità della mia vita potesse un giorno creare problemi alla mia famiglia». La chiacchierata prosegue. Chiedo a Luca di descrivermi l’iter per diventare un paziente e usufruire dei dispensari. «Per ottenere una ID card la procedura non è complicata. In primo luogo ci si rivolge a un’associazione come MediCann, che è proprio qua dietro, in Sutter Street. Sono di solito persone molto cordiali, attivisti o pazienti che collaborano tra loro. Un medico specializzato sull’uso terapeutico della canapa ascolta i tuoi problemi e dopo una visita completa ti rilascia un certificato di tre mesi, sei mesi o un anno. Con quel certificato ci si rivolge alla City Hall of San Francisco, dove il dipartimento di salute pubblica rilascia immediatamente una ID card. La carta di riconoscimento ha la stessa durata del certificato e ti permette di acquistare canapa a fini medici fino a otto once (225 grammi circa). Inoltre – continua – ogni paziente ha diritto a coltivare fino a sei piante mature per estrarne personalmente i fiori al fine di auto-produrre il proprio fabbisogno di medicinale». Domando allora a Luca se ha mai coltivato canapa a casa. «Preferisco spendere 200 dollari per mezza oncia – mi risponde – senza mettere in piazza le mie abitudini terapeutiche e sottopormi agli sguardi dei vicini. È storia di ogni giorno che i pazienti siano arrestati per la detenzione della propria canapa».
La nostra chiacchierata finisce ed io decido di fare un secondo tentativo per riuscire a parlare con una delle associazioni che si occupano di aiutare i pazienti. Questa volta uso il telefono e contatto proprio MediCann. Mi fingo un paziente e chiedo informazioni sulle tutele che mi offre lo stato della California di fronte alle leggi federali. Al telefono risponde una voce femminile del centralino del dispensario. Si tratta di una signora molto gentile che mi spiega che per le leggi federali la canapa è classificata in Tabella I, insieme a sostanze come la mescalina o la cocaina. «Il governo federale – mi dice – continua a considerare la canapa alla stregua di sostanze molto pericolose e dannose per la salute, non riconoscendo il suo valore terapeutico se non per casi estremi di patologie irreversibili e terminali. Un mese fa la Corte d’appello della California si è espressa in favore di F.K., una paziente di Garden Grove a cui la polizia locale ha dovuto restituire otto grammi di canapa dopo averli sequestrati sulla base delle leggi federali. La corte si è espressa motivando la sentenza sulla base della semplice presa d’atto che in California esistono leggi diverse in materia di uso terapeutico della canapa e che non è compito della polizia locale imporre il rispetto delle leggi federali».
Alla fine della telefonata l’attivista-centralinista mi consiglia di rivolgermi all’Asa (Americans for Safe Access) il cui gruppo di legali si è occupato del caso
di F. K. In rete trovo la sentenza che parla del caso di Garden Grove. La corte d’appello si è effettivamente espressa a favore del paziente, anche se, dal 2005 a oggi, esistono almeno cinquanta casi di sequestri di canapa a pazienti vittime di gravi patologie. Questo solo in California dove il Chp (California Highway Patrol) ha il triste primato di violazioni della legge sull’uso medico della canapa.
La lotta alla canapa ha tanti sostenitori anche in uno stato come la California. Forse San Francisco rappresenta un’isola felice oltre che un esempio di civiltà. Il mio viaggio racconta questa storia e la porta in Italia. La speranza è che coloro i quali, dalla classe medica a quella politica, hanno la possibilità di aiutare i pazienti bisognosi di canapa riflettano su questo esempio e chiedano, insieme ai pazienti, una legge civile e rispettosa delle esigenze di chi soffre e potrebbe soffrire di meno grazie ai derivati psicotropi di questa pianta medicinale.

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