Siamo senza dubbio giunti a uno snodo decisivo per l’Ulivo e il centrosinistra in materia di giustizia. Nelle prossime settimane – per quanto riguarda la riforma costituzionale, la legislazione ordinaria e, infine, l’attività dell’amministrazione – ci sarà un passaggio difficile in cui si dovrà misurare tutta la capacità innovativa della coalizione in questo campo. Il Paese appare ancora attraversato dalla contrapposizione esiziale tra giustizialismo e garantismo a senso unico nei confronti dei potenti. Tuttavia, pur faticosamente, districandosi tra le campagne di stampa ostili, resistenze conservatrici e ritardi culturali presenti nella sinistra, comincia a farsi strada – anche nell’opinione pubblica – quella linea di garantismo sociale e di affermazione della legalità che non può non costituire l’impianto di una moderna e liberale forza di sinistra. Nelle settimane passate – nel fuoco di polemiche aspre – si è avviata una correzione di rotta piuttosto significativa. Essa è avvenuta in due direzioni: la prima, quella di consolidare la coesione della maggioranza parlamentare intorno alle scelte fondamentali (rischio prescrizioni, rilancio dei riti alternativi, riforma del CSM, ecc.); la seconda, quella di affermare un profilo politico più netto nell’azione del ministro e del governo, nel senso di governare una partita di riforme così complessa e così difficile con misura e con polso fermo, se necessario inflessibile. Ma non bastano le dichiarazioni di intenti. È l’aspetto sociale e quotidiano della riforma della giustizia che deve entrare prepotentemente in campo, rispetto all’enfatizzazione eccessiva della questione dei grandi processi di corruzione (che occorre fare, evitando il rischio prescrizioni). Su due binari dovremo misurare la concreta credibilità di questa correzione di rotta. Il primo è quello dell’effettivo diritto alla giustizia dei meno abbienti e, più in generale, dei cittadini socialmente svantaggiati. Le camere di conciliazione, con la possibilità di un accesso rapido alla risoluzione dei conflitti, possono divenire il centro di un sistema di filtri volto non solo a depenalizzare (o a ridurre l’effettiva area del penale) ma persino a degiurisdizionalizzare, senza tuttavia, con ciò, lasciare i più deboli alla mercé dei più forti. Riforma dell’accesso alla giustizia per i non abbienti e della difesa d’ufficio, abolizione dell’imposta di registro e progressività dell’imposizione rispetto al valore delle cause, riforma dell’esecuzione civile rappresentano vere e proprie priorità. Il secondo è quello della pena, per renderla più certa e più umana. Nelle prossime settimane – quando scriviamo – la legge Simeone Saraceni dovrebbe essere approvata. A questa prima riforma devono seguire una riorganizzazione dell’Amministrazione Penitenziaria – usando le possibilità della legge Bassanini -, l’esame di provvedimenti tesi a definire sanzioni alternative alla detenzione per piccoli reati, con forme di lavoro socialmente utile e di risarcimento alle vittime. Ma è sulla droga e sull’indulto – temi controversi, sui quali permangono posizioni diverse nella maggioranza, vi è un più diffuso trasversalismo e, soprattutto, su cui il governo ha mantenuto una posizione più neutrale, quasi da spettatore passivo – che occorre quello che, nei giorni passati, ho definito un "atto di forza" da parte del Parlamento. Un atto di forza: non di imperio, certamente, ma di coraggio politico nell’individuare strade che – pur non godendo ancora del favore di una maggioranza larga dell’opinione pubblica – permettano di dare segnali di svolta su questi temi. Per ciò che riguarda le tossicodipendenze, chiediamo un avvio rapido della discussione sul progetto, presentato da me e altri parlamentari, che riguarda il non ritorno in carcere per residui di pena di tossicodipendenti che hanno concretamente intrapreso la strada di un impegno in strutture di recupero e in forme di volontariato; e l’apertura di un vero iter parlamentare volto a superare l’attuale proibizionismo per il consumo delle droghe leggere. Per ciò che riguarda l’indulto nei confronti degli ex terroristi, la definizione di un testo di legge per il sostegno ai familiari delle vittime dal ’69 in poi – già avvenuto in Commissione Affari Costituzionali – può permettere, come auspicato autorevolmente dal segretario del PPI Franco Marini, di riprendere il cammino legislativo dell’indulto laddove si era interrotto nel luglio scorso. Si tratta di andare al di là dell’attuale ipocrisia (mi riferisco alla larga concessione di benefici premiali a una maggioranza di ex terroristi detenuti, che ha reso meno rilevante l’effettività dell’esecuzione penale, o all’enorme pubblicità dei media alle posizioni di ex terroristi in occasione di rievocazioni di delitti del passato) e compiere un riequilibrio delle pene secondo princìpi di diritto, per chiudere una pagina con un atto di forza, voluto dalle nuove classi dirigenti del Paese. È un modo per insegnare ai ragazzi di oggi la storia degli anni ’70, raccontando la follia omicida dei terroristi, il tributo di sangue di tante vittime, e il senso umanitario e mite di giustizia della nuova politica, che sa ora dire al Paese che è necessario voltare pagina.
* Deputato, responsabile del PDS per i problemi dello Stato