Rispondendo alla sollecitazione del Garante nazionale delle persone private della libertà, il Presidente della Camera ha aperto uno spiraglio all’approvazione definitiva del decreto legislativo di riforma dell’ordinamento penitenziario, e giustamente il Ministro Orlando lo ha seguito a ruota, rivendicando il diritto-dovere del Governo in carica di portare a compimento un percorso di riforma iniziato ormai tre anni fa e maturato attraverso la consultazione più ampia che la storia delle politiche penitenziarie ricordi. Siamo dunque a un passaggio decisivo e speriamo che il decreto sia adottato quanto prima in via definitiva.
In questo passaggio decisivo, i Garanti regionali e locali delle persone private della libertà sollecitano le istituzioni locali e i parlamentari eletti nei loro territori a far sentire la loro voce affinché la riforma arrivi a compimento. E in effetti il ruolo delle istituzioni e delle comunità locali è decisivo per l’efficacia della riforma, così come le comunità locali possono essere le prime beneficiarie di una nuova cultura della pena. Si pensi, per esempio, al beneficio di una politica orientata alla riduzione della recidiva attraverso l’integrazione della marginalità sociale che pendola tra carcere e territorio. O si pensi, d’altro canto, alle rilevanti responsabilità che le Regioni e gli enti locali hanno in materia di esecuzione penale e di privazione della libertà. Alle Regioni, infatti, spetta l’assistenza sanitaria nelle carceri (e giustamente il decreto in via di approvazione aggiorna l’ordinamento penitenziario al trasferimento di competenze dalla Giustizia al Servizio sanitario nazionale avvenuto ormai dieci anni), ma anche la programmazione dell’intervento sociale territoriale, la formazione professionale e le politiche attive del lavoro, il dimensionamento scolastico e il diritto allo studio universitario: insomma, gran parte delle politiche necessarie al reinserimento sociale prescritto dall’articolo 27 della Costituzione. D’altro canto ai Comuni spetta l’organizzazione dei servizi anagrafici (essenziali per l’accesso a qualsiasi prestazione sociale) e la continuità dell’intervento sociale tra carcere e territorio. E anche qui il decreto chiama in causa gli enti territoriali, sollecitando l’attivazione di luoghi di dimora sociale per consentire a chi non abbia alloggio di accedere alle alternative alla detenzione. Insomma, le comunità locali e le loro istituzioni hanno tanto da dare e hanno tanto da ricevere da una buona riforma del carcere.
Anche per questo, i prossimi 3 e 4 maggio, a Roma, presso la Regione Lazio, dedicheremo due giornate di confronto alle azioni concretamente messe in atto dalle Regioni e dagli Enti locali nell’esecuzione penale e nella privazione della libertà, convinti che ne possa venire un contributo decisivo alla efficacia della riforma. D’altro canto, sarà l’occasione anche per ridefinire il ruolo dei Garanti regionali e il loro rapporto con la rappresentanza nazionale dei Consigli regionali all’indomani della istituzione del Garante nazionale. Fino alla nomina di Mauro Palma come Garante nazionale, infatti, i garanti regionali e locali svolgevano anche un importante ruolo di rappresentanza nel dibattito pubblico degli interessi e delle aspettative delle persone private della libertà. Ora, come si è visto in occasione del pronunciamento del Presidente Fico, questo ruolo è efficacemente svolto dal Garante nazionale. Ma ciò non toglie che dei garanti territoriali ci sia un enorme bisogno, sia come articolazioni di prossimità della funzione di tutela dei diritti condivisa con il Garante nazionale, sia come organi di monitoraggio dell’azione propria degli enti territoriali in materia.