Dal nostro corrispondente negli USA – Le politiche sulla cannabis, soprattutto le normative e gli effetti della legalizzazione diffusa, vanno sempre più assumendo un ruolo di primo piano nell’odierno scenario politico-legislativo a stelle e strisce. Insieme alla trazione positiva degli ulteriori referendum previsti a novembre 2018 in Missouri, Utah e Michigan (dove anzi l’ok alla cannabis ricreativa poteva arrivare anche subito), il tema acquista peso nelle primarie che interessano i due schieramenti (in alcuni Stati svoltisi nelle settimane scorse, in altri il 5 giugno). Ciò in vista della tornata autunnale che, in molti Stati, interesserà i governatori e altre cariche importanti, oltre al parziale rinnovo del Congresso. Scadenza importante per consentire ai Democratici di riconquistare seggi e spazio a due anni dall’avvio dell’era Trump.
La questione cannabis e le primarie
In West Virginia, per esempio, il vincitore delle primarie Democrat per la Camera, Richard Ojeda, dopo aver portato al successo la cannabis medica nell’aprile 2017, ha sfruttato al meglio le forti spinte pro-legalizzazione totale: «Solo un approccio complessivo su queste policy consentirà al West Virginia di imboccare il cammino verso un futuro prosperoso e far crescere un’economia di tipo nuovo che porterà benefici alla popolazione del nostro Stato per le prossime generazioni».
Non a caso Ojeda è già in netto vantaggio sull’opponente repubblicano, l’attuale procuratore generale Patrick Morrisey. Il quale, pur avendo dichiarato di essere “aperto” sul medical marijuana perché “può dare sollievo a chi ne ha davvero bisogno”, si è detto assolutamente opposto a qualsiasi tipo di legalizzazione per l’uso ricreativo – riprendendo la teoria mai comprovata della “droga di passaggio“.
Invece in New Mexico, uno dei tre candidati Democrat per la carica di governatore, Jeff Apodaca, è stato tra i primissimi pazienti a ricorrere alla cannabis terapeutica dopo che nel 1978 il padre, Jerry Apodaca, firmò da governatore la prima normativa ad hoc mai implementata nel Paese. All’epoca era stato diagnosticato con il sarcoma, e usò quella medicina per superare i devastanti effetti della chemioterapia. Vi ricorse nuovamente alcuni anni fa per combattere la dipendenza da oppioidi prescritti per i feroci mal di schiena. Oggi la sua piattaforma elettorale si basa sull’espansione del programma medico e sulla conseguente legalizzazione totale, all’interno (ci tiene a precisarlo) di «un progetto complessivo teso a rilanciare l’economia statale grazie anche al fiorente mercato della cannabis regolamentata».
In California, queste primarie saranno associate ad alcune misure locali in tema. A Jurupa Valleys si vota per decidere se consentire attività commerciali connesse alla cannabis in certe zone industriali. La Ballot Measure CC chiede agli elettori di Pasadena (Los Angeles) se consentire fino a sei rivenditori, quattro coltivatori e quattro laboratori di analisi sul territorio municipale, in aggiunta a una norma per stabilire modalità e percentuale della cannabis tax. Lo stesso farà la città di San Rafael (Bay Area), dove la Measure G consentirebbe una tassazione fino all’8% per gli operatori del settore.
Torna il dibattito sull’uso medico della cannabis per i reduci
Intanto, a livello nazionale, la Commissione Legislativa della Camera è chiamata a decidere su tre emendamenti relativi all’uso di cannabis terapeutica per i reduci di guerra. Si tratta di consentire loro di ottenere prescrizioni mediche dall’omonimo Dipartimento, di non perdere i benefici pensionistici o di non essere licenziati se ne fanno uso in tal senso. Un altro emendamento riguarda il diritto all’irrigazione per i coltivatori di hemp e marijuana.
Va detto che il responsabile della Commissione, il repubblicano Pete Sessions, negli ultimi anni ha bloccato ogni emendamento sulla cannabis , e anche stavolta non vorrà smentirsi. Stavolta gli emendamenti sono stati inseriti in calce a un disegno di legge che verrà votata a breve dai deputati come parte del budget per l’anno fiscale 2019. Perciò ci sono buone speranze che arrivino al voto in aula e diano così vita ad ampie discussioni, in particolare rispetto alla possibilità che anche i reduci di guerra possano trarre vantaggio dalle proprietà terapeutiche della pianta e suoi derivati.
New York. Si apre la via legale per la cannabis
Infine, il Partito Democratico di New York ha ufficialmente abbracciato la legalizzazione con una risoluzione ad hoc approvata nella convention della settimana scorsa. Si tratta di «una importante questione di giustizia sociale», si legge nel documento, con «milioni di pacifici cittadini soggetti ad arresto, carcere, multe o altrimenti criminalizzati e stigmatizzati inutilmente, con potenziali conseguenze per tutta la vita, soltanto perché facevano uso di usavano di marijuana». L’iniziativa spinge ulteriormente l’acceleratore verso la legalizzazione statale, coma pure la recente ingiunzione rivolta dal sindaco Bill de Blasio alle forze di polizia perché smettano di arrestare chi fuma cannabis in pubblico. Lo stesso Dipartimento di polizia si appresta anzi a riformare interamente le procedure d’intervento su questo tema. E secondo un’analisi di mercato, la legalizzazione potrebbe fruttare entrate fiscali aggiuntive pari a 436 milioni l’anno a livello statale, e fino a 335 milioni per la sola area urbana di New York. Visto che la cannabis ricreativa è una realtà o si appresta a esserlo in nove Stati limitrofi, e lo stesso stanno considerando il New Jersey e perfino il Canada a nord, questa pressione geografico-culturale sta facendo dissipare certe titubanze del Senato repubblicano, storicamente opposto, come pure i timori del Governatore Democratico Cuomo – trattandosi pur sempre di un’area in prima fila sul fronte progressista. Sarà forse questa la volta buona per la Grande Mela (e il suo territorio statale)?