Proseguono dal Nord-America i segnali positivi di un’effettiva riforma delle politiche sulle droghe. Pochi giorni fa il Governatore dello Stato di New York, Andrew Cuomo, ha presentato i risultati di un apposito rapporto sui pro e i contro della legalizzazione della cannabis. Commissionata a inizio anno, l’indagine degli esperti ne ha esaminato le conseguenze a livello sanitario, economico e giudiziario, concludendo che gli effetti positivi della regolamentazione supererebbero di gran lunga quelli negativi.
Lo studio era uno strumento indispensabile per passare dalle parole ai fatti, come ha prontamente rimarcato la Drug Policy Alliance in un comunicato: «Speriamo che ora il Governatore e il Parlamento possano passare rapidamente dal “se” a “come” legalizzare la marijuana…. Siamo pronti a collaborare con le autorità per definire le modalità più adeguate per attivare questa regolamentazione anche a New York».
Un passo questo che avrebbe effetti potenziali di ampio respiro, inclusa la riforma del sistema penale: negli ultimi 20 anni, si sono avuti oltre 800.000 arresti per uso e possesso personale di piccole quantità di marijuana, e la stragrande maggioranza di questi sono avvenuti nell’area metropolitana di New York. Va inoltre considerato che in un sondaggio di fine 2017 il 62% degli elettori newyorchesi diceva di approvare la legalizzazione per i maggiori di 21 anni e oltre il 60% ne sosteneva la tassazione come importante contributo per superare il deficit delle casse statali.
Il Dipartimento della Salute locale ha anche dato via libera al piano d’emergenza che consente prescrizioni di cannabis per qualsiasi condizione che normalmente viene trattata con gli oppiacei. Si tratta di un significativo ampliamento del relativo del programma statale, che al 10 luglio 2018 comprendeva oltre 62.000 pazienti certificati e 1.735 tra medici e assistenti.
Intanto nel limitrofo New Jersey, un altro governatore democratico, Phil Murphy, ha annunciato il raddoppio dei dispensari autorizzati alla vendita di cannabis medica. Si passerà da sei a dodici, confermando così l’ampliamento del programma statale per far fronte alle richieste in costante aumento di nuovi pazienti. Negli ultimi mesi ne sono stati autorizzati altri 10.000, per un totale di circa 25.000. E nel marzo scorso l’amministrazione Murphy aveva aggiunto altre cinque condizioni mediche che garantivano l’accesso alla marijuana terapeutica (ansia, emicrania diffusa, sindrome di Tourette, dolori cronici dovuti a disordini muscolari, dolori addominali cronici).
Infine in Canada, dove il 17 ottobre prossimo la cannabis sarà legale a tutti gli effetti, la responsabile dei servizi sanitari di Toronto ha annunciato il proprio sostegno alla decriminalizzazione – e alla possibile legalizzazione – di tutte le sostanze illegali per uso personale come strumento cruciale per ridurre la dilagante ondata di morti e overdosi dovute all’uso di oppiacei.
L’iniziativa si basa su un ampio rapporto indipendente di ampio respiro da cui emerge che l’attuale criminalizzazione incrementa i comportamenti a rischio dei tossicodipendenti e il numero di infezioni e overdosi dovuti all’uso di siringhe sporche. In aggiunta, ovviamente, alla proliferazione del mercato illegale e ai miliardi di dollari buttati al vento tra arresti, procedure giudiziarie e carcere per chi viene beccato.
Riguardo all’epidemia di oppiacei, nel 2017 solo a Toronto si sono avute 303 morti per overdose, un aumento del 63% rispetto dall’anno precedente. Ambito in cui svariati studi, inclusi quelli sul centro per i tossicodipendenti attivato fin dal 200 a Vancouver, hanno invece rilevato che questi servizi riducono i casi di overdosi e di infezione dovuto all’uso ripetuto di siringhe sporche.