Tempo di lettura: 2 minuti

WASHINGTON – Nessuna possibilità di trapianto per chi si è fatto una canna. Niente da fare persino per chi ha utilizzato marijuana su prescrizione medica. E’ la durissima realtà con cui si devono confrontare i malati in alcuni ospedali degli Usa. Ma gli antiproibizionisti protestano.

L’organismo nazionale che gestisce le procedure di donazione, lo United Network for Organ Sharing, lascia decidere ai singoli istituti i criteri per inserire i pazienti nelle liste di attesa. In diversi casi, l’uso di marijuana è considerato sufficiente per l’esclusione. Gli organi disponibili sono pochi – è il ragionamento alla base della scelta – e non si possono assegnare a persone che hanno dimostrato una propensione a drogarsi. "Il rischio – dice Jorge Reyes, chirurgo specializzato in trapianti di fegato – è che i pazienti che l’hanno usata una volta non siano più in grado di smettere".

Non si tratta solamente di un problema di tipo morale. Farsi una canna dopo un trapianto può essere piuttosto pericoloso: i medicinali che i pazienti assumono per evitare il rigetto aumentano le probabilità di contrarre l’aspergillosi, una malattia che spesso risulta fatale e che è causata da una muffa che si può trovare nella marijuana e nel tabacco.

Ancora più controversa è però l’esclusione di coloro che hanno assunto cannabinoidi per fini terapeutici e su prescrizione medica. In una dozzina di Stati americani, infatti, i dottori la possono prescrivere, ad esempio come antidolorifico. E molti di loro spesso non sanno che questo potrebbe creare ostacoli in vista di un trapianto.

I malati che devono confrontarsi con questa drammatica realtà non sono pochi. L’Associated Press racconta ad esempio la storia di Timothy Garon, 56 anni, in fin di vita a causa dell’epatite C. Avrebbe bisogno di un nuovo fegato, ma l’ospedale universitario di Seattle lo ha escluso dalla lista perché, seguendo le prescrizioni del suo medico, aveva fatto uso di marijuana.

Secondo chi si batte per la liberalizzazione dell’uso della cannabis, questi criteri hanno già causato la morte di almeno due persone, in Oregon e in California, a partire dalla metà degli anni ’90, e cioè da quando è iniziato l’uso dei cannabinoidi a fini medici. Non esistono, tuttavia, statistiche ufficiali su quanti siano i casi di questo genere.