In febbraio, un nutrito gruppo di associazioni attive nella politica delle droghe e negli interventi nel campo delle dipendenze ha scritto una lettera al Presidente del Consiglio e ai ministri competenti (Esteri, Salute, Giustizia, nonché alla responsabile del Dipartimento Antidroga): si chiedeva un dialogo in vista dell’appuntamento internazionale del 14 e 15 marzo, a Vienna, quando nell’ambito della riunione dell’organismo Onu che governa le politiche globali – la Commission on Narcotic Drugs–Cnd- ministri e capi di governo di tutti i paesi del mondo si riuniranno per valutare gli indirizzi stabiliti dieci anni fa, nel 2009, e per decidere quelli futuri.
L’importanza del summit è fuori discussione anche perché nei dieci anni trascorsi ci sono stati cambiamenti sostanziali, sia nelle tipologie dei consumi e dei mercati, sia negli orientamenti politici. Basti pensare ai tanti Paesi dell’America Latina che hanno ufficialmente ripudiato la war on drugs, denunciando come tale guerra abbia portato danni insopportabili all’economia, allo sviluppo sociale e civile, alla democrazia dei loro paesi. E basti ricordare l’inversione di rotta per la cannabis: dal riconoscimento definitivo delle proprietà mediche della sostanza, sancito dalla OMS qualche settimana fa, alla legalizzazione che è ormai un fatto in diversi paesi (compresi alcuni Stati degli Usa) e non solo un’ipotesi.
A tutt’oggi non c’è stata alcuna risposta e dunque il confronto non ci sarà, con buona probabilità. Per un governo che ha costantemente il “popolo” come riferimento verbale, viene da chiedersi il perché di tanto disprezzo per la voce della società civile. Non solo si registra un passo indietro rispetto al 2016, quando, prima dell’Assemblea Generale Onu sulle droghe (Ungass 2016), una consultazione ci fu, proficua sia per il governo che per le associazioni; perfino si viene meno agli impegni contenuti nei pronunciamenti ufficiali, visto che lo stesso documento finale approvato a Ungass 2016 riconosce “che la società civile, alla pari della comunità scientifica, gioca un ruolo importante nella risposta al problema mondiale della droga”; e si impegna a che gli organismi della società civile “siano messi in grado di svolgere un ruolo partecipativo ..a supporto della valutazione delle politiche sulle droghe”.
A parte la citata parentesi felice della consultazione prima di Ungass 2016, anche i precedenti governi non hanno certo brillato nel promuovere la partecipazione: basti pensare che la Conferenza nazionale sulle droghe, che per legge dovrebbe tenersi ogni tre anni, non è convocata dal lontano 2009. Cosicché, se prima su questo piano l’Italia era un poco avanti, si ritrova ora alla retroguardia. Nel passo del gambero questo governo sembra voler battere tutti, guidato dall’ineffabile ministro Lorenzo Fontana, che a più riprese ha dichiarato di volere “abolire la modica quantità”. Non si sa bene che cosa il ministro intenda, forse che vuole mandare in carcere i semplici consumatori, chissà. Ma è la riprova di come faccia male l’attuale governo a snobbare la società civile: se non altro, potevamo spiegargli che la (non punibilità della) “modica quantità” fu abolita da Bettino Craxi nel 1990; e che le sanzioni penali per il possesso di droga a uso personale, introdotte con detta legge del 1990, furono eliminate per pronunciamento del popolo, per l’appunto, col referendum del 1993. In ultimo, che il documento finale di Ungass 2016, approvato da tutti i paesi del mondo, Italia compresa, richiama al rispetto del principio di proporzionalità delle pene rispetto ai reati, un principio generale del diritto in uno stato liberale: il che significa restringere il carcere ai soli reati gravi magari, invece di allargarlo, come vorrebbe il nostro.