La riforma delle norme repressive sulle droghe leggere sta diventando sempre più un cavallo di battaglia del fronte Democrat. Lo confermano le posizioni di buona parte dei candidati presidenziali del 2020, da Bernie Sanders che già 20 anni proponeva varie forme di regolamentazione a Cory Booker che ne parla spesso nei suoi discorsi pubblici. Appoggi formali al commercio legale della cannabis arrivano anche dalla Camera, mentre in alcuni Stati ci si prepara a implementare le normative, appena passate in Congresso, che finalmente reintroducono l’hemp a livello industriale – a partire dal New Mexico.
La regolamentazione alle primarie Democrat
Rispetto al primo punto, quasi tutti i candidati democratici già in corsa hanno dichiarato di sostenere qualche forma di legalizzazione, e ciò potrebbe fare la differenza, visto il campo assai affollato (18 i candidati ufficiali, altri 8 in forse). Lo scorso agosto lo stesso Cory Booker ha presentato al Senato il Marijuana Justice Act e quattro suoi colleghi e candidati 2020 ne sono co-firmatari (Sanders, Harris, Warren e Gillibrand). Obiettivo è garantire atti di “giustizia riparatrice” alle comunità colpite in questi decenni da arresti e condanne per uso o possesso di marijuana e la creazione di una “industria inclusiva dal basso”. E poi il tema va acquistando sempre più rilevanza fra gli elettori, subito dopo sanità, economia, immigrazione. Secondo il Pew Research Center, 6 su 10 adulti sarebbero favorevoli alla regolamentazione, e Queen Adesuyi della Drug Policy Action è convinto che «oggi il Paese e il Congresso hanno raggiunto posizioni assai diverse [dal proibizionismo]». Rincara la dose Neil Levine, direttore della Cannabis Trade Federations: «Non credo sia possibile per qualsiasi candidato presidenziale Democrat vincere le primarie senza dimostrare di essere favorevole in qualche modo alla legalizzazione».
Ancora, la settimana scorsa la Commissione Finanza della Camera ha approvato a larga maggioranza la disposizione che consente alle banche di fornire servizi agli operatori del settore della cannabis legale. Passo importante perché, in base alla proibizione tuttora vigente nello statuto federale, l’intero business di questi operatori rimane basato sul contante, con tutti i problemi immaginabili. In pratica, ciò impedisce a questa nuova imprenditoria (incluse, spesso, aziende del settore terapeutico legale) di decollare davvero, con diffuse lamentele sollevate da più parti. L’iter della norma è tutt’altro che concluso, ma visto il voto favorevole in Commissione anche di 11 deputati repubblicani e la maggioranza assoluta dei Democrat alla Camera, si nutrono buone speranze che la proposta diventi presto legge federale.
D’altronde questo passo darebbe ulteriore spinta al mini-boom economico del settore, dove recenti dati parlano di oltre 200.000 lavoratori a tempo pieno e oltre 64.000 nuovi dipendenti nel 2018 per l’industria della cannabis regolamentata nei vari Stati. Ancor più, queste spinte politiche calzano a pennello nella messa a punto dell’agenda iper-progressista in vista delle presidenziali 2020, e per evitare altri quattro anni con l’amministrazione Trump.
Il New Mexico punta sull’hemp
Pur se non è passata legalizzazione totale, in New Mexico è stata appena firmata la norma sulla depenalizzazione, che riduce a semplici multe le pene per il possesso fino a mezza oncia di marijuana e quelle per l’uso o il possesso di parafernalia, evitando l’intervento di giudici o tribunali, come invece avvenuto finora in maniera automatica. Michelle Lujan-Grisham ha anche firmato la legge che regola produzione, test, ricerca, produzione e trasporto di hemp e prodotti affini sul territorio statale. La norma, già respinta l’anno scorso dalla governatora Repubblicana, è nota come Hemp Manufacturing Act e appare finanche più innovativa degli appositi emendamenti inclusi nel cosiddetto Farm Bill approvato dal governo federale la scorso autunno e firmato da Trump il 20 dicembre: l’hemp è stata derubricata dell’elenco delle sostanze vietate e d’ora in poi va considerata, giustamente, un “bene agricolo”.
Il problema, manco a dirlo, è però che gli istituti finanziari “sono confusi” sullo stato legale della pianta. E quindi negano tuttora ai coltivatori e produttori l’accesso ai servizi e facilitazioni bancarie, proprio come menzionato sopra per la cannabis. Tant’è che nei giorni scorsi il capogruppo Repubblicano al Senato, Mitch McConnell, ha diffuso una lettera in cui chiarisce la questione, spiegando che ormai l’hemp è un business come un altro e quindi le banche devono smetterla di discriminare.
Da notare che la pianta è una varietà della nota Cannabis sativa, ma viene coltivata appositamente per fibre tessili, alimentazione, bio-combustibile, plastica e altri derivati, oltre al Cannabidiolo (Cbd) per uso medico. Il suo principio attivo (Thc) non deve superare lo 0,3 %, a differenza del 5-35% della cannabis psicoattiva, e i primi ritrovamenti risalgono a oltre 10.000 anni fa in Asia e Medio Oriente, mentre oggi la si coltiva in Australia, Giappone, Russia e altri Paesi. In pratica, quella che in Italia viene chiamata “cannabis light“.
In questo contesto, il New Mexico (storicamente a maggioranza democratica) è il primo Stato a “recepire” e ampliare la normativa federale, sotto l’egida del deputato democratico Derrick Lente, il quale ha spiegato fra l’altro: «la legge consentirà ad agricoltori e produttori di accedere a questo lucrativo settore industriale nel pieno rispetto delle leggi federali e statali». Le nuove misure prevedono licenze ad hoc, appositi laboratori per i test e anche fondi per la ricerca, tutte funzioni assegnate al Dipartimento di agricoltura. Invece il Dipartimento dell’ambiente s’incaricherà di monitorare i produttori sia per i derivati industriali sia per quelli medicinali a uso umano. Già stabilite anche le tariffe di base, tutto sommato modiche, per le relative licenze: 800 dollari l’anno per coltivazioni all’aperto e 900 dollari l’anno per la “produzione continua” all’interno o in serra, più quote minime per le ispezioni delle autorità. .