La Riduzione del Danno (RdD), con il DPCM 12.01.2017, è entrata a far parte dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA). Ma non basta aggiornare i LEA per garantire ed assicurare il diritto alla salute.
A distanza di due anni mancano ancora linee di indirizzo nazionali e finanziamenti certi, indispensabili per garantire l’esigibilità del diritto in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale.
E’ un ritardo grave, su cui dobbiamo intervenire, perché la RdD è un formidabile strumento di innovazione dei servizi, a fronte delle mutazioni dei consumi, e di un consumo che spesso non sviluppa dipendenza.
La RdD nasce come politica di salute pubblica, grazie alla quale si sono potuti sviluppare i servizi di strada e di prossimità, non solo rivolti ai consumatori di sostanze. Rappresenta un approccio integrato al tema dell’uso ed abuso delle sostanze, basato sulla evidenza che gli interventi più efficaci sono quelli indirizzati al benessere delle persone che usano sostanze, alla prevenzione e limitazione dei rischi, alla piena consapevolezza e conoscenza degli effetti delle varie sostanze. La libertà di accesso alle cure, la pluralità degli interventi, finalizzati a rispondere alle effettive necessità delle persone, sono opportunità che vanno rese disponibili a tutti, rispettando le scelte di ciascuno, comprese le persone che usano sostanze e che, per motivi diversi, non vogliono o non possono entrare in contatto con i servizi.
Il progressivo indebolimento di tutto il sistema di intervento pubblico, con una funzione sostitutiva, anziché integrativa, del privato è preoccupante. Ancora di più lo è la privatizzazione di tanti servizi sanitari, motivata con esigenze di contenimento e razionalizzazione della spesa, ma spesso anche con accuse di burocratismo e rigidità rivolte al pubblico.
Indebolimento del sistema pubblico
Si assiste, per una distorta visione di sostenibilità, al progressivo assorbimento e accorpamento dei Dipartimenti per le Dipendenze con quelli per la Salute Mentale, che favorisce un approccio sanitario, medicalizzato all’uso di droghe, un arretramento rispetto ai principi della RdD. Su questo la CGIL ha da tempo espresso un giudizio negativo. I Servizi per le Dipendenze (SerD) per loro natura sono servizi multidisciplinari, che integrano professionalità e saperi molto diversi fra loro, con una forte dimensione territoriale. Richiedono uno sguardo attento alla collettività in cui operano, capacità di leggere gli assetti del territorio e della società, coglierne i cambiamenti, realizzare interventi di prossimità, in rapporto con tutta la comunità locale. Il tema è la salute pubblica, l’impatto che le sostanze hanno sul singolo e sulla collettività, e non la salute mentale.
La forma dipartimentale resta la più adatta a garantire il governo del sistema, i dipartimenti sono il luogo dove l’integrazione con il privato sociale può trovare una compiuta e corretta realizzazione: privato sociale che in questi anni ha sperimentato servizi innovativi, ha garantito interventi di prossimità altrimenti impossibili, in situazioni di forte incertezza legata alla tipologia degli affidamenti, con offerte che mirano a contenere il più possibile i costi, comportando inevitabili ricadute anche sulle condizioni dei lavoratori. È necessario adeguare il sistema ai cambiamenti dei bisogni ed alla domanda effettiva di prestazioni, favorire la creazione di reti territoriali di servizi integrati sociosanitari per presidiare meglio il territorio e fornire risposte appropriate, inserire strutturalmente la RdD nel sistema integrato dei servizi, e questo lo si può fare con un forte ruolo di programmazione e di controllo del Servizio Pubblico.
Presa in carico e quotidianità di vita
Occorre far uscire dallo stato di “progetto” servizi che spesso operano da più di venti anni, tramite proroghe e autorizzazioni all’esercizio, aggiornando le normative sull’accreditamento, che riguardano oggi strutture e servizi, mentre dobbiamo parlare anche di prestazioni, prevedendo clausole di qualità, legate alla territorialità, all’esperienza sulle dipendenze nel territorio. Appare inadeguato l’attuale sistema delle regole in merito alle modalità di affidamento dei servizi, per disomogeneità territoriali, utilizzo del massimo ribasso a discapito della valenza della qualità. E, nell’accreditamento, è indispensabile dedicare una particolare attenzione agli operatori, perché servono figure che non sono solo sanitarie, ma che hanno le competenze per leggere le dinamiche del territorio, della comunità in cui si trovano ad agire, che dispongono di competenze trasversali, senza trascurare l’importante ruolo dei peer educator, e la partecipazione dei consumatori.
Di fronte alle nuove dinamiche del consumo, servono forme di presa in carico flessibili, servizi capaci di intervenire senza interrompere il normale ritmo di vita delle persone. In questo senso sono stati pensati e sviluppati servizi per i consumatori di cocaina, come il progetto CARE a Roma, o Mamacoca a Napoli, che per ubicazione, orari, organizzazione, non interferiscono con la vita lavorativa e affettiva delle persone.
Servono servizi che fanno prevenzione: distribuzione di materiale informativo, di preservativi, di siringhe, di acqua distillata e di cartine, analisi delle sostanze, e stanze per il consumo controllato che, oltre a prevenire i rischi e le patologie legate allo scambio di materiale, sono un efficace strumento di salute pubblica. La RdD, i servizi di prossimità, possono evitare le morti per overdose, tutelare la salute delle persone più fragili, sviluppare interventi anche nei confronti delle nuove dipendenze, come quella da gioco d’azzardo.
Da tempo la CGIL afferma la necessità di difendere e rilanciare le politiche di welfare ed il Servizio Sanitario pubblico. Nello specifico delle droghe, questo ci rimanda proprio alle politiche di RdD, strumento di rinnovamento di tutto il sistema di intervento, di garanzia del diritto al benessere ed alle cure, rispetto delle scelte individuali delle persone, di vera integrazione sociosanitaria, con un approccio universalistico, nello spirito ancora del tutto attuale della riforma sanitaria del 1978. Il rischio è, altrimenti, di appiattirsi su risposte ormai inadeguate alle effettive richieste delle persone.