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«Fino a quando il sole sorgerà per bruciare i nostri occhi rivelando la realtà del mondo che avete creato per noi, noi balleremo fieramente con i nostri fratelli e sorelle, celebrando la nostra vita, la nostra cultura, e i valori in cui più crediamo: pace, amore, libertà, tolleranza, unità, armonia, espressione, responsabilità e rispetto. Il nostro nemico l’ignoranza. La nostra arma l’informazione…».
In un tempo di crisi e trasformazione del rave, questo inno ci riporta alle origini. Il rave party nasce negli anni ’80, in un momento di agitazione politica e di disagio sociale. In inglese il termine «rave» significa letteralmente «delirio», ma in senso più ampio sta a simboleggiare la totale libertà di pensiero e movimento necessario per svincolarsi dalle convenzioni sociali corrotte.
Dagli Usa, luogo di nascita del rave party (Detroit), il fenomeno si diffonde in Europa e soprattutto in Gran Bretagna. Qui, con l’incontro della cultura psichedelica, nasce l’acid house, iniziando così l’associazione dei party con le sostanze stupefacenti. Proprio il consumo di droghe porterà i rave fuori dalle città, come eventi illegali.
Nel 1994 in Gran Bretagna, il Criminal Justice Act, emana un decreto per vietare «le riunioni con più di 100 partecipanti (non c’è differenza se il luogo è pubblico o privato) associate a suoni caratterizzati dall’emissione di una successione di battute». Per opporsi a questa ingiusta limitazione di divertimento, nel 1996 nasce un’azione di protesta globale con lo slogan Reclaim The Street (in questo ambito si svolge l’annuale Street Parade Antiproibizionista che vede tanti giovani ballare attraverso le strade delle città più importanti di tutto il mondo). Con il tempo questi eventi hanno perso sempre più il carattere di protesta, trasformandosi spesso in manifestazioni legalmente autorizzate.
Purtroppo i media hanno progressivamente corrotto l’immagine della Festa etichettandola come un «supermercato della droga». Il diffondersi di questa falsa immagine ha spinto la gente in cerca di droghe verso i rave e la menzogna si sta trasformando in realtà, danneggiando gli amanti del «delirio» (quello buono!).
Fortunatamente c’è ancora gente in grado di divertirsi e di stare bene, che si ritrova insieme «sotto le casse» per fidarsi l’uno dell’altro in un clima di empatia e solidarietà. La trasformazione della Festa e la nuova ferocia della politica della sicurezza hanno reso questi eventi molto più rari (solo due anni fa, ogni settimana c’era una festa che durava più giorni, o un teknival da qualche parte in Italia che richiamava migliaia di giovani). Spesso i party organizzati divengono veri e propri eventi privati: si cerca di non diffondere troppo la voce e ci si ritrova tra amici quasi tutti intimi (non si superano le quaranta persone).
Il rave party è momento di espressione, spazio autogestito da persone provenienti da tutto il mondo che si ritrovano per condividere una passione. Inoltre, il vero Raver sa come gestire gli effetti delle droghe che assume, sa aiutare un amico (magari appena conosciuto) ad essere più consapevole delle sue azioni e ad analizzare le situazioni che lo spingono a prendere una sostanza. Per molti le feste sono state la via d’uscita dalla dipendenza: non solo per la scoperta di un interesse ma per l’incontro con gente disponibile alla condivisione e all’aiuto. Assumere una sostanza stupefacente per creare empatia e «perdersi» nella musica è il modo migliore per capire il significato delle droghe.
Il Raver non dipende da nulla, se non dalla musica e dal desiderio di libertà.