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Con il Decreto del Consiglio dei Ministri del 31/1/2020, è stato dichiarato, per sei mesi, lo stato d’emergenza sul territorio nazionale relativamente al rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie gravi derivanti da agenti virali trasmissibili. Il sistema di prevenzione, riduzione del danno e dei rischi, nonché di presa in carico e cura, ove necessario, dei vari fenomeni di consumo problematico, abuso e dipendenza da sostanze psicoattive si è da subito interrogato come rimodularsi rispetto ad una popolazione molto diversificata, vulnerabile, complessa che andava dalla grave marginalità di alcune forme di tossicodipendenza, ad un diffuso e generalizzato consumo di alcool e sostanze psicoattive soprattutto nelle popolazioni più giovani che non avrebbero potuto uscire, acquistare, scegliere. Un sistema già fortemente in crisi rispetto ad approcci legislativi e di senso enormi, che prevede comunque attività e servizi molto diversi che vanno dagli interventi ambulatoriali a quelli di prossimità nelle situazioni più difficili delle nostre città, dai quasi 200 mila utenti del sistema di presa in carico ambulatoriale agli almeno 20.000 accolti in strutture residenziali e semi-residenziali ad almeno un milione di contatti e di interventi annuali dei progetti di Riduzione del danno e dei rischi. Comunità, progetti e strutture di accoglienza dove per una popolazione tendenzialmente vulnerabile e con parecchie patologie precedenti, il rischio di diventare covo di infezione era concreto e palpabile come la drammatica vicenda delle RSA ci ha dimostrato ma anche alcuni casi di intolleranza nelle periferie parigine verso queste popolazioni di “potenziali untori” con distruzione di drop in e luoghi di accoglienza.
L’11/3/2020 poi l’Organizzazione Mondiale della Sanità, con propria dichiarazione, definiva l’epidemia da COVID-19 come Pandemia e conseguentemente vennero introdotte ulteriori misure urgenti di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica con relative disposizioni attuative.

Successivamente sono stati molti gli indirizzi, le decisioni e le linee guida a livello nazionale, regionale ed in alcuni casi di singola Asl, spesso in contraddizione tra loro, tutti finalizzati, soprattutto per i servizi sociosanitari a modellare le misure urgenti ma anche le modalità di prevenzione, dell’infezione da SARS-CoV-2, in funzione dell’andamento epidemiologico della pandemia; anche il Ministero della Salute, con sue proprie ordinanze, provvedeva a indicare misure di contenimento dell’infezione virale ma con applicazioni territoriali poi molto diverse. Indicazioni operative ispirate da un lato alla massima tutela della popolazione in generale (distanziamento e blocco totale, residenzialità controllata, criteri di parentela ecc.), e in altri territori di massima rigidità e sanzione soprattutto per le situazioni più deboli che alcune di queste norme non potevano o volevano garantire (i senza dimora, i tossicodipendenti di “strada”, gli immigrati irregolari) con multe, rigidità varie e segnalazioni a rischio penale).
All’interno del SSN, il sistema pubblico e del privato sociale accreditato sul tema degli abusi da sostanze, ha da sempre occupato uno spazio cruciale (nell’intervento ma anche negli allarmi mediatici e nelle richieste di controllo sociale) ma poi misconosciuto nelle pratiche e negli indirizzi, soprattutto in una emergenza sanitaria generalizzata come questa, portandoci alla scelta quindi di assumere a maggior ragione, sempre più un ruolo di tutela, advocacy e rappresentanza (insieme ad alcuni dei diretti rappresentanti di questo mondo dei consumi) di un sistema quasi inesistente nelle delibere e con prese di posizione a tutela ed in nome di questo popolo senza nome. Il nostro sistema è sempre stato ed è in prima linea per fronteggiare le infezioni da HIV e HCV, anche ora pur nella necessità tutelante degli ospiti e degli operatori di chiusura di alcune accoglienze, abbiamo rimodulato molti dei nostri interventi mantenendo attivi quasi tutti i servizi di RDD e RDR ( riscritti e riformulati), aumentando tutti i servizi di supporto territoriale per le situazioni più delicate e inventando le più svariate forme di contatto telematico per chi poteva connettersi, come accompagnamento a distanza, supporto e counselling oppure con la garanzia di fornitura diretta di beni di prima necessità insieme al mondo del volontariato e dell’associazionismo.

L’emergenza dovuta alla diffusione del COVID-19 ha richiesto una radicale modifica delle prassi operative di tutti i servizi che prevedono un’interazione con il pubblico. Nello specifico, i servizi che operano nell’ambito del consumo di sostanze psicotrope stupefacenti hanno trasformato la propria operatività; sono state introdotte modalità di lavoro da remoto per i servizi ambulatoriale e semi-residenziali, i servizi residenziali hanno invece proseguito la propria operatività interrompendo qualsiasi contatto con l’esterno, allungando i tempi dei nuovi ingressi e permettendo ancor più numerose comunicazioni via web con famigliari e persone vicine. Purtroppo alcuni non sono riusciti a reggere questo clima di pericolo incombente con casi di suicidio e autolesionismo o gravi crisi d’astinenza ma nella maggior parte reggendo con forme di autogestione e controllo inaspettati.
Questo cambiamento e chiusure, necessarie in una fase di forte diffusione del virus SARS-CoV-2, ha interferito con la possibilità di nuovo aggancio degli utenti, di condivisione e continuità relazionale con le scuole ed i giovani dei progetti educativi e di prevenzione, per i nuovi percorsi di cura e riabilitativi territoriali e di offerta di servizi ulteriori in grado di offrire percorsi che riescano a raggiungere obiettivi di aggancio precoce o reinserimento sociale. Abbiamo attraversato un periodo nel quale l’obiettivo di tutela della salute in riferimento alla diffusione del Covid-19 ha preso il sopravvento rispetto a tutti gli altri obiettivi specifici dei servizi; infatti sono state definite misure di gestione che riducessero il rischio di diffusione del contagio tra gli utenti e gli operatori dei servizi arrivando ad ottenere un numero estremamente limitato di contagi a livello nazionale.
Dopo più di tre mesi, l’impatto della riduzione delle modalità di interazione operatori-utenti e utenti-territorio però ora rischia di minare la possibilità offerta di servizi efficaci diffusi riconosciuti e puntuali. È necessario ora individuare strategie di gestione del rischio che consentano di coniugare il perseguimento degli obiettivi di autotutela, aggancio, counselling e cambiamento intrinseci nella definizione stessa dei servizi e progetti con gli obiettivi di tutela della salute con particolare riferimento al rischio di contagio da SARS-CoV-2. Un mondo quello dell’accoglienza e della prossimità territoriale diffusa che si è dimostrato efficace nell’emergenza, (dalle comunità famigliari, alle piccole comunità terapeutiche con massimo 15/20 posti ed i loro percorsi territoriali di supporto, dall’housing alle residenziali leggere e semi autonome, dall’accompagnamento quasi sartoriale alle persone in difficoltà ed ai loro contesti e famiglie, con un forte continuo legame con le comunità territoriali). Un sistema di intervento che si sta ora interrogando sul dopo, soprattutto alla luce degli evidenti e diversificati risultati positivi di tutela e salvaguardia delle persone più vulnerabili ottenuti anche nelle fasi più acute dell’emergenza. In paragone con un approccio ospedale centrico puramente sanitario ed ispirato alla privatizzazione dei sistemi sanitari ed alla massimizzazione delle strutture, negli ultimi anni riscritto alla luce dei tagli draconiani sull’altare dei vincoli dei bilanci regionali, sacrificando le strutture pubbliche e territoriali di medicina di prossimità, con una mercantilizzazione della ricerca scientifica, che hanno ottenuto di trasformare un serio problema sanitario (virus) in una drammatica emergenza, che ha stravolto l’insieme delle società, la vita delle persone e le loro relazioni sociali, rendendo la precarietà una dimensione esistenziale generalizzata a cui la medicina esclusivamente ospedalocentrica ed organicista, pseudo“ moderna” aveva invece promesso di rispondere in maniera assoluta e definitiva, fallendo quasi totalmente questo obiettivo. Mentre in grandi e “pseudo efficienti” strutture “sanitarie” le persone si infettavano e purtroppo morivano sia ospiti che personale sociosanitario (completamente abbandonati e senza i supporti di sufficienti dispositivi di tutela individuale, per mesi), una diffusa e variegata attenta e tutelante rete di strutture e percorsi ha curato e salvato un numero notevole di persone, riuscendo a ospedalizzare un numero minimo di ospiti e solo se necessari ed in tempi corretti. Un mondo diffuso di accoglienza e supporto sociosanitario che ha fatto da subito dell’attenzione mirata, attenta e personalizzata, della prevenzione e dell’intervento precoce nelle sue varie forme di strutture ed il non concentramento delle persone segnate dal virus o a rischio, la cifra comune della sua reazione al virus. Si è deciso così di chiudere da subito le realtà di accoglienza e comunità per proteggere i suoi ospiti e gli operatori ove necessario, mantenere trasformandoli e sviluppandoli gli interventi di prossimità in maniera adeguata e gestire nei piccoli numeri dell’accoglienza diffusa territoriale anche eventuali problemi sanitari con equipe integrate in collaborazione con medici di base o territoriali. Ciò ha significato la riaffermazione dell’importanza di una presa in carico organizzata (da un punto di vista sanitario e sociale) in maniera individuale, quasi sartoriale, delle persone in cui una cultura del Care, della presa in carico complessiva dell’altro (minore segnalato dal tribunale, il tossicodipendente storico e a rischio emarginazione, persone con problemi di abuso e salute mentale) è stato raggio illuminate e forza ispiratrice.

Principi di prossimità e promozione di protagonismo e responsabilità diffusa con cui pensiamo dover scrivere le prossime tracce anche nel sistema delle dipendenze e dei vari abusi di consumo, in cui l’economia sociale e solidale ad alta integrazione di funzione pubblica vuole dire la sua, con grammatiche diverse da prima, non più solo enti gestori di comunità terapeutiche lontane, ma protagonisti attivi di cambiamento ed innovazione a livello nazionale, regionale, territoriale e comunitario. Ci spinge proprio questa prossimità e vicinanza alle fatiche ed ai sacrifici dell’altro, a cui non abbiamo mai rinunciato, malgrado la chiusura di molti dei nostri servizi per la protezione difensiva necessaria di alcuni luoghi di accoglienza. Misurandoci con nuove fatiche del vivere, che abbiamo vissuto con tutte le sue criticità ed attenzioni nelle nostre comunità territoriali, nei nostri servizi riorganizzati e nei progetti innovativi riscritti dal web, negli appartamenti dei nostri ospiti, in quelle giornaliere comunicazioni a distanza, ove necessario, nella distribuzione quotidiana di quelle piccole opportunità di sopravvivenza e sperimentando una distanza fisica, ma che è stata in molti casi vicinanza di sensazioni, affetti in forme e modi nuovi e che ci ha interrogato su come ed in quale direzione vogliamo andare oltre questa crisi. Perché l’emergenza isola ed allo spaesamento aggiunge per i meno fortunati la solitudine, la fatica del sopravvivere e, nei contesti più fragili, accanto alla solitudine, si ampliano tensioni, conflitti e perdite di senso.
La Corte dei conti nel suo annuale rapporto sulla finanza pubblica afferma rispetto all’emergenza Covid: “che una adeguata rete di assistenza sul territorio non è solo una questione di civiltà a fronte delle difficoltà del singolo e delle persone con disabilità, vulnerabilità e cronicità, ma rappresenta l’unico strumento vero di difesa per affrontare e contenere con rapidità fenomeni come quello che stiamo combattendo. L’insufficienza delle risorse destinate al territorio ed a tutto il sistema sociosanitario ha reso ancor più tardivo, talvolta addirittura inefficace ed ha fatto trovare disarmato il primo fronte che doveva opporsi al dilagare della malattia o verso problemi più gravi.”

Credo che mai parole furono più adeguate anche per il nostro sistema sociosanitario pubblico privato sui temi dei consumi problematici, abusi e dipendenza da sostanze psicoattive, che in questa emergenza Covid ha ancor di più dimostrato la sua necessità di revisione e riscrittura.