Nessuno dubita che il Ministro Speranza sia molto impegnato in questi mesi, ma se quanto accaduto in primavera col coronavirus era una prima volta per tutti, quel che stiamo vivendo con la “seconda ondata” non può esser considerato come un’emergenza che mette tutto in secondo piano.
Proprio come i suoi predecessori, tutti sollecitati dalla Società Civile italiana per anni in merito alle scelte politiche sulle “droghe”, anche Roberto Speranza ha ritenuto di non dover rispondere a chi si è mobilitato affinché non si facessero passi indietro, almeno sulla cannabis terapeutica.
La quotidiana colluttazione governativa, degna del miglior Tyson – oggi noto coltivatore di cannabis nella sua tenuta – non lo ha purtroppo immunizzato da decisioni di regresso politico circa la pianta maledetta: prima una circolare ministeriale con arbitrari limiti all’uso e alla distribuzione dei medicinali a base di cannabis, poi una decisione improvvida della Agenzia dei Monopoli sull’incompatibilità di cannabis light e svapo, infine il noto decreto di inserimento del CBD nella tabella dei medicinali psicotropi del Testo unico sulle droghe poi sospeso per evitare figuracce scientifiche e politiche.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità supportata da studi scientifici inattaccabili è determinata nel suggerire una revisione onnicomprensiva dell’impianto anti-terapeutico che negli anni è stato imposto alla cannabis. La Corte di Giustizia dell’UE ne ha preso atto stabilendo che il CBD non è una sostanza da includere tra quelle psicoattive aprendo alla sua registrazione continentale come “novel food” e la Commissione europea s’è adeguata. Il governo italiano s’è distinto per il silenzio di fronte a queste importanti modifiche di orientamento. Le scaramucce interne alla maggioranza di governo hanno evitato prese di posizione sullo storico voto dell’ONU che ha riconosciuto il valore terapeutico della cannabis. Pur avendo votato a favore il nostro governo non ha chiarito come intende rendere “domestica” quella decisione…
Riproponiamo alcuni punti ineludibili: cancellazione della circolare ministeriale del 26 settembre; ritiro definitivo del decreto sul CBD; aumento della produzione nazionale di cannabis con apertura a partnership pubblico-privato senza pregiudizio a imprese private; liberalizzazione dell’importazione per sopperire al fabbisogno nazionale; finanziamento della formazione del personale socio-sanitario e campagne informative per il pubblico; allargamento delle patologie e garanzia della rimborsabilità dei prodotti; investimenti in ricerca sulla pianta e avvio di sperimentazioni cliniche innovative.
In attesa di una necessaria riforma strutturale tutto quanto qui ricordato è possibile a legislazione vigente, senza alcun passaggio parlamentare e quindi senza la necessità di comporre maggioranze ad hoc. Tra l’altro, domenica scorsa, la Camera ha approvato l’emendamento Magi per incrementare i fondi per l’approvvigionamento di cannabis per il 2021.
Esattamente due mesi fa è iniziato un digiuno di dialogo su temi legati alla cannabis. Si tratta di un’iniziativa ancora in corso con oltre 300 aderenti e un calendario che arriva fino alla fine dell’anno. Si tratta di persone coinvolte a vario titolo nella richiesta di rispetto del loro diritto alla salute che vanno ringraziate per la loro partecipazione a quest’opera di convincimento e che aspettano almeno un cenno d’interesse.
Non è mai troppo tardi per corrispondere a richieste di buon senso, anche perché non ci sono più alibi scientifici, giuridici o politici per non fare qualcosa di sinistra – o che ci possa rendere finalmente liberi e uguali nel poter godere dei nostri diritti.
Aderisci al digiuno per la cannabis: www.fuoriluogo.it/digiunoperlacannabis