Ci sono evidenti motivi di politica criminale che dovrebbero orientare il Parlamento e il Governo a cambiare rotta in materia di droghe e ad attenuare l’impianto repressivo e sanzionatorio dell’attuale legislazione, diversificando i fatti di lieve entità e la coltivazione di cannabis a uso personale da altri e più sostanziosi traffici. Quella che Federico Cafiero De Raho, procuratore nazionale antimafia ed antiterrorismo, definisce l’ultimo anello della filiera del narcotraffico, è necessario che sia tenuta ben distinta da tutti gli altri anelli della catena di comando delle organizzazioni criminali. È questa un’esigenza investigativa evocata da tempo da tutti gli attori del sistema. Non è prendendosela con la parte terminale dei traffici illeciti che si ridurrà la quantità di sostanze che gireranno nelle nostre strade. Così come un qualsiasi economista ben potrebbe argomentare, la repressione penale dura verso l’ultimo anello produrrà al limite un aumento dei prezzi per i consumatori finali.
Ci sono altrettanti evidenti motivi di ordine pubblico e sociale che dovrebbero spingere verso una differente politica sulle droghe, a partire dalla proposta di legge n. 2307 (primo firmatario Riccardo Magi) che disciplina i casi di lieve entità. Su questa proposta nei giorni scorsi la Commissione Giustizia della Camera ha sentito i pareri, oltre che di Federico Cafiero De Raho, anche di Antonino Maggiore, Direttore centrale per i servizi antidroga presso il Ministero dell’Interno, e di Mauro Palma, Garante dei diritti delle persone private della libertà personale. La proposta, ragionevolmente, si legge nella relazione introduttiva, mira a «differenziare il regime sanzionatorio in funzione della diversa natura della sostanza, al fine di graduare il trattamento punitivo in relazione alla gravità delle condotte…ed esclude l’arresto obbligatorio in flagranza per alcune fattispecie di lieve entità». Anche per invertire la prassi in atto che porta alla carcerazione il 69% dei responsabili di violazione del comma 5 del Dpr 309/90.
Quello che il procuratore nazionale antimafia ed antiterrorismo definisce ultimo anello della filiera del narcotraffico (ossia che ha con sé una quantità minima di sostanza), non di rado nulla ha a che fare con la logica del traffico, degli affari delle mafie locali o internazionali. Si tratta della gran massa dei nostri adolescenti, dei ragazzi che vivono le periferie urbane, degli esclusi dal welfare, di chi per scelta o per bisogno terapeutico decide di organizzare il proprio consumo. Nessun investigatore ha interesse a seguire i suggerimenti del leghista Riccardo Molinari, che ha presentato una proposta in tal senso, e arrestare centinaia di migliaia di persone, metterle dentro, così da rovinare la vita di tantissimi giovani e delle loro famiglie.
Da loro, dai ragazzi e dalle loro famiglie, bisogna ripartire per vincere quella che è una battaglia culturale, prima ancora che politica. Con loro bisogna aprire il confronto, spingerli a usare la loro forza d’urto e la naturale tendenza alla trasgressione verso l’ordine costituito (statale o familiare che sia) per chiedere responsabilmente un’altra legislazione sulle droghe, meno aggressiva, meno stupidamente e inutilmente vessatoria. Ecco, il merito della proposta Magi è quello che avviare i lavori di un ponte con i più giovani, i meno protetti. Tanto si parla in modo enfatico delle nuove generazioni, tanto poco si ragiona insieme a loro su come costruire una società autenticamente aperta ed effettivamente impermeabile agli affari sporchi delle mafie. Chiunque abbia figli in età adolescente dovrebbe per motivi di salute e ordine pubblico chiedere ad alta voce politiche dal più basso impatto penale, in quanto quest’ultimo inevitabilmente si fonda sullo stigma, sul dolore, sulla violenza strutturale. La parola chiave è responsabilità, a tutti i livelli.