Nel percorso di ritorno verso la “normalizzazione” politica, l’amministrazione Biden non potrà ignorare ulteriormente la questione cannabis perché forme di regolamentazione sono già vigenti in oltre due terzi dei 50 Stati, per l’ambito terapeutico, e in circa un terzo per quello ricreativo. Sono in vista analoghi traguardi in alcuni Stati chiave quali New Jersey e New York, oltre a Virginia, New Mexico, Maryland, Hawaii, Minnesota, North Dakota. La novità della maggioranza in Senato, seppure di appena un seggio, è stata subito accompagnata dallo storico comunicato stampa dei senatori democratici Cory Booker, Ron Wyden e Chuck Schumer per annunciare la formale presentazione di una proposta di riforma sulla marijuana a livello federale. Un passo atteso e accolto con entusiasmo da altri colleghi, a partire da Earl Blumenauer, responsabile del relativo caucus alla Camera.
Immediato anche il pubblico sostegno del variegato fronte degli attivisti, con la storica organizzazione pro-riforma NORML pronta a ribadire: «È rincuorante vedere la nuova leadership del Senato impegnarsi per eliminare questo crudele e insensato proibizionismo. Dobbiamo impegnarci con una intensa collaborazione per trarre vantaggio dalla finestra apertasi ora per attuare riforme urgenti, popolari e razionali». Un quadro positivo completato dall’approvazione, lo scorso autunno, del MORE Act alla Camera bassa, mentre la versione in quella Alta, rimasta nel cassetto perché allora ancora in mano repubblicana, vedeva come prima firmataria l’attuale Vice-Presidente Kamala Harris.
Sempre al Senato è stata presentata un’indagine curata dal Caucus on international narcotics control: le vendite di cannabis legale nel 2020 hanno raggiunto il record di 17,5 miliardi di dollari, con un aumento del 46% rispetto al 2019 – grazie soprattutto al traino del settore terapeutico, particolarmente nei mercati più maturi come Colorado (+26%) e Oregon (+29%). A tre settimane dallo storico annuncio dei tre senatori democratici, altri 37 parlamentari hanno firmato una lettera aperta per chiedere all’attuale Presidente di promulgare un ordine esecutivo per l’amnistia a favore di persone condannate o incarcerate solo per reati non violenti legati alla marijuana. In attesa di avviare l’iter per la attesa normativa federale di regolamentazione, spiegano i primi firmatari Earl Blumenauer e Barbara Lee (D-California), «Lei ha la capacità unica di promuovere la riforma della giustizia penale e di offrire immediato sollievo a migliaia di cittadini». La lettera non manca di sottolineare l’impegno, preso dallo stesso Biden in campagna elettorale, per l’automatico azzeramento della fedina penale per precedenti condanne in materia e per la rimozione della cannabis dalla Tabella I delle sostanze proibite, pur se è noto che Biden rimane contrario alla legalizzazione per l’uso ricreativo.
Analogo il tono di un appello diffuso pochi giorni da svariati attivisti e imprenditori, tra cui la NORML, la Minority Cannabis Business Association e la National Cannabis Industry Association: «La criminalizzazione della cannabis, con le opportunità occupazionali, sociali e umane andate perse per le relative condanne, provoca danni di gran lunga superiori a quelle dell’uso responsabile della sostanza stessa». E secondo un rapporto dell’azienda leader Leafly, nonostante la crisi del Covid lo scorso anno l’imprenditoria della cannabis ha aggiunto oltre 77.000 posti di lavoro: un incremento del 32% che lo rende il settore di maggior crescita in assoluto. Sono circa 321.000 i lavoratori a tempo pieno oggi impiegati nei 37 Stati che prevedono varie forme di regolamentazione. Inevitabile quindi una normativa federale capace di riparare ai disastri causati da quasi un secolo di proibizionismo e di dare impeto a un’industria assai promettente.