Tre tonnellate. Questo il fabbisogno italiano di cannabis terapeutica per l’anno in corso (insieme a San Marino e Città del Vaticano) previsto dall’Incb (International narcotics control Board), il cane da guardia delle convenzioni internazionali sugli stupefacenti. In aumento del 50% sull’anno precedente, oltre il doppio di quanto previsto nel 2018. Peccato che probabilmente a fine anno si farà fatica a raggiungere i 1000 kg di cannabis dispensata effettivamente. In Italia la cannabis terapeutica è ormai un miraggio per troppi pazienti.
SONO 16 LE REGIONi in cui, negli ultimi 60 giorni, ci sono stati problemi di approvvigionamento di cannabis terapeutica, come documentato dagli stessi pazienti su monitorcannabis.it. Del resto, basta farsi un giro nei gruppi specializzati sui social per incappare in messaggi disperati di malati che non trovano la tipologia prevista dal piano terapeutico e rischiano di interrompere la terapia. Un problema irrisolto che persiste oramai dal 2017, nonostante gli impegni e le norme di legge.
«Sto diventando matto, decine di telefonate e centinaia di messaggi di pazienti che non trovano la preparazione che ho prescritto e sono giustamente in ansia per la loro terapia», ci racconta fra un turno e l’altro Francesco Crestani, medico anestesista e presidente dell’Associazione Cannabis Terapeutica che festeggia quest’anno il ventennale. «Ciclicamente manca la materia prima, ed ora è il caso della Fm2 (la varietà prodotta dallo stabilimento farmaceutico militare di Firenze, ndr) che non si trova più. Per me, che avevo dato fiducia alla produzione italiana, suona come una beffa». Il problema non è solo la ricetta: «Sì certo tocca rifare le ricette, ma questo è il minore dei mali. Bediol e Fm2, pur essendo titolati con analoghe percentuali di Thc, sono farmaci diversi perché provengono da piante diverse. Bisogna ricalibrare le dosi, a volte rifare interi piani terapeutici. Questo significa spesso tornare dallo specialista, con un aggravio di tempo e di costi per i malati».
E POI C’È IL PROBLEMA della circolare ministeriale del 23 settembre 2020, che di colpo ha escluso alcuni tipi di preparazioni. «La circolare ha creato notevoli problemi – ricorda Crestani – ad esempio vietando il collirio per il glaucoma, che è stata una delle prime applicazioni della cannabis medica e che permetteva a chi non risponde ai farmaci tradizionali di tenere sotto controllo la pressione oculare. Bastavano un paio di gocce, con effetti collaterali nulli». Una circolare che «non ha alcun senso dal punto di vista scientifico e normativo», conclude Crestani, ma che nonostante le segnalazioni al ministro Speranza da parte della società civile ed un digiuno con quasi 400 adesioni in corso, non è stata ancora ritirata.
SULLA CIRCOLARE ministeriale Marco Ternelli, farmacista galenico ed uno dei punti di riferimento per la preparazione di cannabis terapeutica in Italia, è chiaro. «È un disastro. La spedizione non è più possibile, così alcuni pazienti si sono organizzati con gruppi per prelevare in blocco una serie di ricette. Ma la maggior parte rimane scoperta». E ancora: «Abbiamo sospeso colliri, creme, e tutte le preparazioni non per via orale. Questo ha causato la disperazione di tanti malati». In assenza di qualsiasi riscontro da parte del ministero della Salute alle sollecitazioni, i farmacisti hanno incaricato gli avvocati: «I primi di maggio abbiamo udienza al Tar del Lazio per il ricorso che ho presentato insieme ad altre 12 farmacie», annuncia sconsolato Ternelli.
DAL SUO LABORATORIO, Ternelli conferma poi i problemi di approvvigionamento: «Il 2021 è iniziato malissimo. Prima fornitura solo il 10 febbraio, che ha dovuto coprire una carenza dei 2 mesi precedenti per cui si è esaurita subito. Poi più nulla. La prossima fornitura è attesa per dopo Pasqua, e si preannuncia una riduzione dei quantitativi dall’Olanda». Le prospettive per l’anno in corso sono quindi pessime: «Anche perché va a scadere l’appalto di importazione straordinaria del 2019 (vinto dalla canadese Aurora) che comunque è stato utilizzato con il contagocce». E la produzione italiana? «I militari da novembre non hanno più Fm2 – riporta Ternelli – e la prossima fornitura, inizialmente annunciata a marzo, si dice che arriverà effettivamente a maggio».
E PROPRIO LA PRODUZIONE italiana è il grande interrogativo. Pur avendo avuto finanziamenti e autorizzazioni per arrivare a produrre fino a 500 kg l’anno, la produzione dello Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze è al palo. I dati ufficiali dal sito del ministero della Salute sono sconfortanti: nel 2017 lo Stabilimento avrebbe prodotto e distribuito circa 60 kg, nel 2017 e 2018 in media circa 150. Come sottolinea però Ternelli «fra la quantità distribuita c’è anche la cannabis importata con il bando straordinario»: quindi l’effettiva produzione nazionale si fermerebbe a soli 60 kg nel 2018 e 140 nel 2019. Nemmeno il 5% del fabbisogno teorico del 2021.
MA LA SOLUZIONE ESISTE ed è legge sin dalla conversione del decreto fiscale 2017: autorizzare anche altri soggetti, pubblici o privati, a coltivare e produrre cannabis terapeutica. Ne gioverebbero i pazienti in primis, ma anche tutto il Paese che così potrebbe disporre di un prodotto di qualità a costi inferiori rispetto a quello importato. Un Paese che storicamente la cannabis l’ha sempre coltivata e che, un secolo dopo, potrebbe tornare ad esserne esportatore, aprendo la strada ad una nuova filiera in un settore ad alta specializzazione e forte espansione globale. Anche l’Onu a dicembre ha rotto il tabù, riconoscendo il pieno valore terapeutico della cannabis: se ne accorgeranno a Palazzo Chigi?
[Articolo pubblicato su il manifesto del 28 marzo 2021]