La scappatoia del “consumo di gruppo” di sostanze stupefacenti, che di fatto rende non punibile l’acquirente per conto terzi, mantiene limiti molto stretti e circostanziati. Lo ribadisce la Quarta sezione penale dell Cassazione (sentenza 36876/08, depositata ieri) che ha respinto il ricorso di un giovane valtellinese contro le due condanne rimediate nel merito per la cessione di uno spinello di marijuana a un amico, fatto avvenuto cinque anni fa.
A giudizio della difesa, i magistrati di primo e secondo grado avevano motivato in modo manifestamente illogico la sentenza di condanna, per aver ritenuto che lo spinello sequestrato ai due fosse destinato allo spaccio, e non invece all’uso personale o all’uso comune tra amici. Secondo questa prospettazione, basterebbe un accordo «anche tacito» tra i protagonisti per far ritenere che, al momento dell’acquisto, il compratore «si proponeva di fumare lo spinelo in compagnia dell’amico»; così che anche un’eventuale «errata convinzione di dar corso all’accordo» avrebbe di fatto scriminato la condotta dell’imputato.
Interpretazione, questa, che però i giudici della Quarta sezione penale (presidente Carlo Giuseppe Brusco) hanno ricondotto a una giurisprudenza consolidata sul tema del «consumo di gruppo».
In realtà, commenta il relatore, «occorre che la sostanza sia stata acquistata da uno dei componenti del gruppo su preventivo mandato degli altri, in vista della futura ripartizione». E anche il pagamento, o meglio la raccolta del contante per l’acquisto, deve seguire regole chiare e prestabilite, «attraverso una partecipazione di tutti alla predisposizione dei mezzi finanziari», così che «si possa affermare che l’acquirente agisca come longa manus degli altri e che il successivo frazionamento della sostanza acquistata sia solo un’operazione materiale di divisione, senza trasferimento dell’uno all’altro di valore».
Quindi, perché si possa parlare di “consumo di gruppo” e pertanto salvare chi materialmente compra la dose, deve essere accertato »che gli altri componenti del gruppo abbiano avuto, fin dall’origine, cioé dall’acquisto, quell’autonomo potere di fatto sulla cosa in cui si sostanzia la detenzione».
Nell’immediatezza dei fatti, invece, l’imputato valtellinese aveva escluso qualsiasi coinvolgimento dell’amico nell’acquisto della droga, dimostrando a contrario la tesi dell’accusa.