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[…] La funzionalità del «mostro droga» alle campagne elettorali di certi politici non è un fatto nuovo. In Usa è accaduto in maniera clamorosa durante la presidenza Reagan. Per le elezioni del 1986 e del 1988, repubblicani e democratici si sono accusati a vicenda di essere troppo «soft» sulla droga, e i candidati contrapposti si sono sfidati in duelli all’ultima goccia di urina, sottoponendosi ai test antidroga (Reinarman: «The Crack Attack», 1988, p. 22).
Il clamore dei politici veniva naturalmente amplificato dai mass media. Le campagne di stampa sulla droga (e sul crack in particolare) hanno raggiunto il climax in coincidenza con le elezioni, cioè nel 1986 e nel 1988. La minaccia del crack è stata drammatizzata in contrasto con i dati forniti dalle stesse autorità: per esempio, un rapporto della Dea alla fine del 1986 riferiva che l’eccessivo rilievo dei media aveva creato una distorsione nella percezione della minaccia del crack (cfr. Reinarman, op.cit., pp.4-6 e Trebach: «The Great Drug War», p.14). Un dato eccezionalmente significativo sono i risultati dei sondaggi dell’opinione pubblica: mentre nel 1986 e nel 1988 la maggior parte dei cittadini considerava la droga come «il problema più importante del paese», nel 1987 (quando al problema veniva dedicato scarso spazio sui mass media) questa risposta veniva data soltanto dal 3-5% degli interrogati (cfr. New York Times, 24 maggio 1988 e Reinarman, op.cit., p. 24).
Le campagne antidroga alimentate dai politici hanno un duplice vantaggio. Da una parte permettono di confrontarsi su un problema molto complesso, con risultati a lunga scadenza e difficilmente interpretabili; dall’altra, l’enfasi sulla minaccia della droga costituisce un efficace diversivo da altri problemi sociali. Questo è stato molto evidente nel caso della presidenza Reagan. Secondo Reinarman, «disoccupazione, povertà, degrado urbano, crisi della scuola, criminalità e tutte le conseguenti forme di problemi sociali venivano interpretate come se fossero la risultante di devianza individuale, immoralità e debolezza.

«(…) La gente che “ha problemi” veniva riconcettualizzata come gente che “crea problemi”; il controllo sociale rimpiazzava l’assistenza sociale come principio della politica statuale» (op.cit., p.19).
Di crack si parla molto anche in Italia, nonostante questa droga sia tuttora sconosciuta o rara. Il settimanale Epoca gli ha dedicato, già nel febbraio 1986, un lungo servizio, che ne annunciava il prossimo arrivo in Italia (titolo: «La nuova peste che arriva da oltreatlantico»), con dettagliate istruzioni illustrate sul modo di confezionarlo a domicilio, e dati grossolanamente esagerati sulla diffusione in Usa. Il 14 dicembre 1986, su Canale 5 («L’altra domenica»), Muccioli ha dichiarato che il crack è addirittura «mille volte più forte della cocaina iniettata» pur costando molto meno.
E di crack ha parlato di recente Giuliano Ferrara ne «Il gatto», il suo show-comizio (31 maggio 1989), con i soliti ingredienti: dopo un filmato sulla tecnica di produzione, Ferrara ha asserito che: a) il crack ha un prezzo d’acquisto basso; b) «ha invaso l’Europa». In realtà, a) il prezzo del crack sul mercato Usa è superiore del 50-100% a quello della cocaina in polvere, b) in Europa non è stata segnalata alcuna «epidemia» preoccupante, e c) negli stessi Usa il crack è diffuso limitatamente a determinate aree geografiche e sociali, per lo più legate a condizioni di emarginazione giovanile. Ma Ferrara aveva bisogno proprio del crack per argomentare l’inevitabilità del proibizionismo: da una droga che costa poco ed è universalmente gradita, l’unica possibile protezione è la minaccia dei rigori craxiani. Peccato che questo tipo di messaggio possa essere recepito in tutt’altra maniera. Uno studente americano, dopo aver letto nel 1986 un servizio su Newsweek (che paragonava il crack alle pestilenze medievali) ha dichiarato: «Io non ne avevo sentito nulla fino ad allora, ma quando ho letto che era meno caro della cocaina e meglio del sesso, e che lo usavano tutti, mi sono chiesto che cosa stavo perdendo. (…) ?Il giorno dopo ho chiesto ad alcuni amici dove si poteva trovarlo» (cit. da Treback: «The Great Drug War», p.7).