È attualmente in corso la revisione di un decennio di controllo globale sulla droga e dei progressi fatti nel raggiungimento degli obiettivi stabiliti nel 1998 durante una Sessione speciale dell’Assemblea generale dell’Onu (Ungass). L’Ungass del 1998 decise di «eliminare o significativamente ridurre la coltivazione illecita dell’arbusto di coca, della pianta di cannabis e del papavero da oppio entro l’anno 2008». Sul fronte della domanda, fu assunto l’impegno di «raggiungere risultati significativi e misurabili» per l’anno 2008. Un meeting ad alto livello della Commissione Onu sulle droghe narcotiche (Cnd), che si terrà a Vienna nel marzo 2009, offrirà un’occasione storica per adottare nuove linee guida che si spera possano fare tesoro dell’esperienza, e proporre per il futuro un maggiore equilibrio nelle politiche di controllo sulle droghe.
La strategia decennale è fallita
Gli obiettivi dell’Ungass 1998 non sono stati raggiunti. Secondo le ultime cifre dell’Unodc, negli ultimi dieci anni la produzione globale di oppio è raddoppiata e la produzione di cocaina è aumentata del 20%. Per quanto riguarda la cannabis e gli stimolanti di tipo anfetaminico (Ats), le stime sulla produzione sono troppo inaffidabili per poter essere citate, poiché la loro produzione è decentrata in ogni angolo del mondo. Inoltre, l’espansione dell’uso non medico di prodotti farmaceutici (compresi i potenti antidolorifici oppiacei) ha superato in molti paesi l’uso di oppiacei illeciti offuscando ancora di più la distinzione tra il mercato illegale e quello legale.
In tutto il mondo è facile trovare questi prodotti a prezzi più bassi rispetto a dieci anni fa. La premessa fondamentale, cioè l’idea che l’uso illecito di sostanze potesse essere controllato attraverso la repressione e la riduzione dell’offerta, si è dimostrata errata. Inoltre la lotta alla droga ha generato gravi conseguenze negative in termini di criminalizzazione dei consumatori e dei coltivatori, sovraccarico del sistema giudiziario, violazioni dei diritti umani, accesso inadeguato a farmaci essenziali in almeno metà del mondo. Sarà difficile concludere che il mondo è sulla pista giusta e che non c’è ragione per una nuova valutazione dell’attuale modello del controllo.
Mentre nello scorso decennio si è intensificata la guerra alla droga nei tradizionali paesi produttori del Sud (le Ande, l’Afghanistan, l’Asia sud-orientale), un numero crescente di paesi ha visto consolidarsi approcci più pragmatici e meno punitivi ispirati alla «riduzione del danno», alla «decriminalizzazione» e allo «sviluppo alternativo». Ciò ha incrinato in modo significativo il «Vienna consensus», segnando l’inizio di un possibile cambiamento dell’attuale regime di controllo globale sulla droga.
La diffusione dell’Hiv/Aids tra i consumatori per via iniettiva, il sovraffollamento delle carceri, la riluttanza del Sud America a continuare ad essere il teatro di operazioni antidroga di tipo militare, l’inefficacia delle azioni di repressione rispetto alla riduzione del mercato illecito, tutto questo ha contribuito a erodere il sostegno globale alla tolleranza zero stile Usa. Gli Obiettivi del Millennio dell’Onu e gli altri due meeting Ungass sull’Hiv/Aids del 2001 e del 2006 hanno contribuito a rafforzare un trend nella politica sulle droghe che considera prioritario alleviare la povertà, prevenire l’Hiv/Aids e ridurre il danno.
Come rendere il controllo sulla droga «adatto allo scopo»
Un documento di dibattito per la revisione dell’Ungass presentato nel marzo 2008 dal direttore esecutivo dell’Unodc Antonio Maria Costa («Making drug control “fit for purpose”: Building on the Ungass decade») contiene una serie di proposte interessanti per rendere il controllo sulle droghe «adatto allo scopo». Costa parla dell’esigenza di umanizzare il nostro sistema di controllo sulle droghe, perché ci sono troppe persone in carcere; troppe risorse vengono spese per la repressione e troppo poche per la prevenzione, il trattamento e la riduzione del danno; troppa enfasi è data alla eradicazione delle coltivazioni illegali; troppo poche risorse vengono destinate agli aiuti allo sviluppo per i contadini poveri coinvolti. Costa sottolinea l’esigenza di mitigare le conseguenze negative della lotta alla droga e – per la prima volta – difende apertamente il principio della riduzione del danno sottolineando che «l’implementazione delle Convenzioni sulla droga deve procedere tenendo in debito conto la salute e i diritti umani».
È trascorso mezzo secolo dall’adozione della prima convenzione Onu sulle droghe, la Convenzione unica sulle droghe narcotiche del 1961, la quale stabiliva l’eliminazione dell’oppio entro 15 anni, e della coca e della cannabis entro 25 anni. Il trattato introduceva un regime universale senza distinguere tra foglia di coca e cocaina o tra cannabis ed eroina. Dieci anni dopo, il regime di controllo fu esteso a una gamma di altre sostanze in base alla Convenzione sulle sostanze psicotrope del 1971. Alla scadenza fissata nel 1961 si vide che i mercati illegali non avevano fatto altro che crescere in modo esponenziale, l’Onu decise di imporre agli stati membri l’applicazione di sanzioni penali per combattere tutti gli aspetti della produzione, del possesso e del traffico di droghe, secondo la Convenzione contro il traffico illecito del 1988. Le leggi sulle droghe furono inasprite in tutto il pianeta e le carceri cominciarono a riempirsi di consumatori e piccoli spacciatori.
Dieci anni dopo la Convenzione del 1988, ancora in assenza di qualunque segno di riduzione del mercato illecito, l’Ungass ha fissato dei nuovi obiettivi decennali in quello che un editoriale del New York Times a quel tempo definì «un riciclaggio di propositi irrealistici». Secondo uno dei delegati dell’epoca: «Abbiamo la macchina; ora dobbiamo farla funzionare meglio. In particolare, abbiamo bisogno di un fronte internazionale più solido che sostenga la Convenzione del 1988. Questo strumento ha i denti, e noi dobbiamo fare in modo che morda».
Anche oggi, nell’attuale revisione dell’Ungass, alcuni stati membri esprimono questa posizione impedendo una valutazione seria. Secondo loro non c’è niente di sbagliato nei principi fondamentali, bisogna solo applicarli con più rigore.
Nel corso di questi dieci anni, voci simili sono diventate minoritarie. Purtroppo il processo decisionale nella Commissione Onu sulle droghe narcotiche si basa sul consenso, perciò anche una piccola minoranza può bloccare i passi avanti. Dopo mezzo secolo, è giunto il momento di modernizzare e umanizzare il sistema, di giungere a un maggiore equilibrio tra tutela della salute e repressione. La priorità dovrebbe passare dal ridurre il mercato, al ridurne i danni: concentrarsi sul consumo problematico invece che sul consumo in generale, togliere la foglia di coca dalla Convenzione del 1961, regolare il mercato della cannabis rendendolo più in linea con le forme di controllo applicate all’alcol e al tabacco, focalizzare l’attenzione sulla riduzione del potere del crimine organizzato, della violenza e della corruzione connesse alla droga, invece di mettere sotto chiave i piccoli spacciatori. Ormai più di 80 paesi parlano in modo esplicito di riduzione del danno nei loro documenti ufficiali, e molti hanno decriminalizzato l’uso di droga e il possesso per uso personale. Un precedente esemplare per affrontare la questione della proporzionalità delle condanne è stato stabilito quest’estate in Ecuador dall’Assemblea Costituente. Questa ha emesso un provvedimento di perdono per i piccoli spacciatori alla loro prima condanna, sorpresi con quantità minori di 2 chilogrammi, che avessero scontato più del 10% della pena. Circa 1.500 detenuti – molti dei quali condannati a più di dieci anni di carcere – stanno attualmente uscendo dalle prigioni sovraffollate di quel paese.
Il processo di scrittura della nuova Dichiarazione politica e dei documenti correlati che dovranno essere adottati nel marzo 2009 a Vienna inizia ora. Le coalizioni di paesi con posizioni omogenee – specialmente in Europa e America latina – stanno cercando di introdurre riferimenti alla riduzione del danno, ai diritti umani, al principio di proporzionalità delle pene e all’accesso ai farmaci essenziali. I trattati non saranno ri-negoziati in questo periodo: passato il 2009, ci vorrà più coraggio politico per cambiare le convenzioni. Ma in definitiva, non c’è altro modo per uscire dalla situazione di stallo in cui si trova il mondo, se non riconoscere onestamente che le attuali politiche stanno fallendo e che i trattati sulle droghe sono strumenti datati, pieni di incongruenze. Come si afferma nel primo World Drug Report dell’Onu del 1997, pubblicato poco prima dell’Ungass: «Le leggi – ed anche le Convenzioni Internazionali – non sono incise sulla pietra. Esse possono essere modificate secondo la volontà democratica delle nazioni». È incoraggiante che nel suo documento «Fit for purpose » Costa abbia affermato: «c’è davvero uno spirito di riforma nell’aria, per rendere le convenzioni funzionali allo scopo e adattarle alla realtà sul terreno, che è considerevolmente diversa rispetto al momento in cui esse furono redatte».