Da un lato, il Tar Lazio, sezione III, n. 1222/2008, ha affermato, in una sentenza ampiamente motivata, che: 1) l’ordinanza del sindaco di Roma del 16 settembre 2008 è legittima e trova la sua validità direttamente nel nuovo articolo 54 del Dlgs 267/2000; 2) il decreto del ministro dell’Interno del 5 agosto 2008, che disciplina i poteri di ordinanza dei sindaci, non è un regolamento, non contiene norme generali ed astratte ma delle direttive o delle “linee guida”; 3) le persone che praticano la prostituzione sulle strade (chiamate nella sentenza: “Street sex workers”) sono quasi sempre il terminale di una filiera criminale.
L’attività di prostituzione, di per sé, non è un reato, ma sottrae spazi di vita sociale e civile al resto della collettività, e determina dei “negozi” illeciti per la violazione dell’ordine pubblico e del buon costume. Non è espressione di libera concorrenza, ma è “uno spazio di mercato del tutto anomalo, che la cittadinanza subisce e sente come degrado della convivenza civile”.
Dall’altro lato, il Tar Veneto, con un’ordinanza cautelare dell’8 gennaio 2009, n. 22, ha sospeso l’efficacia dell’ordinanza del sindaco di Verona del 2 agosto 2008, ed ha considerato il ricorso “sorretto da sufficienti elementi di fondatezza”, per le seguenti ragioni 1) il divieto riguardava tutto il territorio comunale, e non precisava le situazioni specifiche e localizzate, collegate alla lesione di interessi riconducibili alla sicurezza urbana; 2) le condotte vietate erano descritte in modo approssimativo e generico, e potevano essere non lesive della sicurezza urbana.
Le due posizioni giurisprudenziali non collimano, e su di esse si possono svolgere le seguenti succinte considerazioni.
In primo luogo, le ordinanze dei sindaci di Roma e di Verona sono simili, ma non sono identiche, e l’ordinanza del sindaco di Roma indicava “in particolare, come off limits, le vie consolari, dove è più alto il rischio di provocare intralci alla circolazione o gravi incidenti automobilistici”.
In secondo luogo, è opinabile l’affermazione dei giudici del Tar Lazio-Roma, secondo i quali il decreto del ministro dell’Interno contiene soltanto direttive o linee guida. Infatti, il decreto contiene norme che uniformano le potestà dei sindaci per tutto il territorio della Repubblica.
Esso è perciò sostanzialmente un regolamento, e ciò fa sorgere dei dubbi di legittimità, perché nell’attuale sistema normativo un ministro non ha funzioni legislative. In terzo luogo, le modificazioni all’articolo 54 del Dlgs 267/2000 e le disposizioni contenute nel decreto del ministro dell’Interno, non sono persuasive.
Le finalità di sicurezza e di incolumità sono certamente da condividere, ma le modalità tecnico giuridiche che sono previste hanno comportato un errore di “ingegneria amministrativa”. Infatti, l’ampliamento dell’ambito di efficacia delle ordinanze contingibili ed urgenti ad altre situazioni non contingibili ed urgenti, e senza l’indicazione di un oggetto specifico, ha determinato regole imprecise e una disciplina incerta.
Ad esempio, l’ordinanza del sindaco del Comune di Roma ha validità sino al 30 gennaio 2009. Dopo questa data, l’ordinanza (che ricorda le antiche e inefficaci grida spagnole) dovrà essere rinnovata, almeno sino a quando la prostituzione sulle strade non sarà scomparsa. In quarto ed ultimo luogo, i divieti relativi alla sicurezza urbana e all’incolumità pubblica (rettificati rispetto a quelli contenuti nelle ordinanze) potrebbero con maggiore utilità essere inseriti in un regolamento comunale, che contiene norme valide per tutto il territorio, stabili nei tempo e deliberate dal Consiglio comunale, che è l’organo collegiale rappresentativo della comunità locale.