«E, per quanto riguarda questa richiesta della pena, di come debba essere la pena, un giudizio negativo, in linea di principio, deve essere dato non soltanto per la pena capitale, che istantaneamente, puntualmente, elimina dal consorzio sociale la figura del reo, ma anche nei confronti della pena perpetua: l’ergastolo, che, privo com’è di qualsiasi speranza, di qualsiasi prospettiva, di qualsiasi sollecitazione al pentimento e al ritrovamento del soggetto, appare crudele e disumano non meno di quanto lo sia la pena di morte». Così parlava Aldo Moro ai suoi studenti, nella Facoltà di Scienze politiche, a Roma, solo due anni prima di essere sequestrato e ucciso dalle Brigate Rosse.
Nell’Italia di oggi, invece, la pena dell’ergastolo non sembra fare più scandalo, stretti come siamo tra ossessione per la sicurezza e risposte giustizialiste. E anzi sembra troppo poco, al punto che sia da destra che da sinistra si chiede che il regime speciale del 41bis diventi ordinaria forma di punizione dei condannati per fatti di criminalità organizzata. Su iniziativa dell’associazione Liberarsi, 739 detenuti, nel novembre scorso, si sono rivolti alla Corte europea dei diritti umani, ciascuno con il proprio ricorso individuale, per la violazione dei diritti umani che sarebbe propria dell’ergastolo. All’attenzione della Corte di Strasburgo sono anche i casi provenienti dai Paesi del Consiglio d’Europa che prevedono l’ergastolo senza possibilità ordinarie di revisione (actual lifers sono chiamati i malcapitati): violerebbero il divieto di pene inumane o degradanti. Eppure, nel dibattito pubblico italiano appare così stramba la encomiabile iniziativa di Antigone e de La società della ragione di dedicare un pomeriggio di discussione a “la pena dell’ergastolo nella Costituzione e nel pensiero di Aldo Moro” (domani, a partire dalle 15, a Roma, in via di Santa Chiara 4).
Dieci anni fa, quando il Senato approvava il disegno di legge Salvato per l’abrogazione dell’ergastolo (colpevolmente mai esaminato dalla Camera nei successivi tre anni di legislatura), e le forche non andavano di moda quanto oggi, l’argomento preferito dagli oppositori dell’iniziativa abolizionista era che l’ergastolo, di fatto, non esiste più, perché – normativamente – anche gli ergastolani possono accedere ai benefici penitenziari e, in modo particolare, alla liberazione condizionale, dopo aver scontato 26 anni di pena. Con questa stessa motivazione, nel 1974, la Consulta salvò l’ergastolo, giudicandolo costituzionalmente legittimo tanto quanto non più effettivamente tale, e cioè rimediabile grazie alla liberazione condizionale. Un po’ la preoccupazione che ha ora la Corte europea di fronte ai Paesi che conservano gli ergastoli senza sconti. Argomento suggestivo (per quanto capzioso), ma insufficiente. Scoprimmo infatti, durante quella discussione parlamentare, che non erano pochi gli ergastolani che avevano superato il limite per l’accesso alla liberazione condizionale senza godere di quel beneficio. Addirittura uno, il povero Vito De Rosa, era sepolto in un ospedale psichiatrico giudiziario da 47 anni (e ci sarebbe rimasto ancora, prima di essere graziato per andare a morire in un istituto di cura). E così ora, secondo Liberarsi, ci sono ergastolani detenuti da 38 a 42 anni: non sono actual lifers questi? O dobbiamo passare alla macabra contabilità di chi l’ergastolo lo sconta per davvero: quanti sono stati, nell’Italia repubblicana che vieta le pene contrarie al senso di umanità, i condannati alla pena a vita che sono morti in stato di detenzione? Non sono loro i “veri” ergastolani?
La Commissione Pisapia, nella scorsa legislatura, propose – tra l’altro – l’abolizione dell’ergastolo nella riforma del codice penale, ma il Ministro Mastella – dimentico della lezione di Moro – non trovò di meglio da criticare, nel lavoro della Commissione da lui stesso istituita, che questa basilare previsione di civiltà.
Intanto, in omaggio all’uso simbolico della giustizia penale, le condanne all’ergastolo si moltiplicano (erano poco più di 200 nei primi anni ’90, circa 800 quando se ne discusse l’abrogazione, intorno a 1300 oggi), moltiplicando i potenziali actual lifers e il riprodursi di una pena “crudele e disumana”, secondo le parole di Moro. A quando l’abolizione?
(L’ergastolo nel pensiero di Aldo Moro, Roma 22 gennaio, su www.societadellaragione.it)