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Decenni di becero e antiscientifico proibizionismo hanno fatto sì che la mafia si arricchisse così tanto da non poter essere più contrastata in maniera efficace e da poter decidere (non da sola) quali sostanze immettere sul mercato, quante e come: per tale motivo abbiamo assistito, in questo ultimo quinquennio, al dilagare della cocaina nelle sue molteplici vesti (e con infiniti tagli): dal buco allo sniffo e a quella da fumo; ce n’è per tutti i gusti e le tasche.
Ma, anni di dipendenza dalla cocaina (a volte bastano solo mesi), rendono le persone (molte delle quali minorenni) inadatte (man mano che la dipendenza aumenta) alla vita sociale, immerse spesso nel consumismo più sfrenato e compulsivo, bullismo, vandalismo, sesso vissuto come cosa meccanica da prendere (anche) con la forza (i famosi stupri videoregistrati col telefonino).
Ma questa vita “di plastica e a 1000 all’ora” non si riesce a tenerla per troppo tempo e si sente il bisogno di “spegnere il motore”: puntuale, come sempre, arriva, o meglio, ritorna Madama Eroina. Tutto questo è costruito “a tavolino” dagli architetti occulti (neanche tanto, se si indagasse veramente) e dalla cabina di regia mafiosa “perbene” (colletti bianchi), per bloccare sul nascere ogni segno di trasformazione sociale e di spinta al cambiamento dei giovani (e non solo). La cosiddetta guerra alla droga è una guerra contro i poveri, i neri, gli immigrati (facile manovalanza perché disperati e colpisce quasi esclusivamente i consumatori e il micro-crimine), mentre i veri criminali si godono i frutti di questo massacro sociale spesso mirato (negli Usa, le Pantere Nere, movimento di liberazione etnico-rivoluzionario, furono distrutte con l’immissione di eroina a basso costo e foraggiando di denaro alcuni capi per diffonderla).
Verso la fine degli anni ’70 in Italia, l’immissione di grandi quantità di eroina a basso costo bloccò qualsiasi volontà di cambiamento della società.
Abbiamo visto tanti amici morire o invalidarsi a vita e oggi proviamo la stessa paura per il ritorno di simili strategie mortifere.
Alessandro e Marco Gigli
fratelli antiproibizionisti, Jesi (AN)

D’accordo, riflettiamo sul ritorno dell’eroina (senza però dimenticare che i consumatori problematici di questa sostanza hanno sempre costituito la maggior parte delle persone in carico ai servizi). Negli anni ’90 l’eroina era la droga meno accettata dai giovani: lo dicono anche alcune ricerche, come ad esempio una condotta a Francoforte (vedi Fuoriluogo, febbraio 2005). E questo perché l’eroina era associata ad una subcultura del “consumo di strada”, le famose “scene di droga all’aperto” presenti in tutte le città europee negli anni ’80 e oltre. Non mi sorprende che questa memoria storica si stia perdendo: il danno del proibizionismo non è solo nella condanna all’illegalità dei consumatori; di fatto impedisce che entri a far parte del sapere sociale diffuso una cultura delle droghe, ossia la capacità di conoscere le droghe, distinguerne gli effetti, imparare a ridurre i rischi e evitare modelli di consumo incontrollato. Soprattutto, l’ostracismo culturale a seguito del proibizionismo investe quella che è una grande verità sulle droghe: che i modelli più o meno rischiosi di consumo non sono tanto in relazione alle droghe, quanto ai contesti sociali e alle relative subculture del consumo. Insomma, il proibizionismo non può accettare se non una lettura “farmacologica” dei consumi: ci sono alcune droghe per loro natura “incontrollabili” e perciò proibite. Se infatti si ammettesse che le modalità, i rischi, i modelli di consumo sono (prevalentemente) influenzati da componenti sociali (e non farmacologiche) cadrebbe un presupposto, anzi il presupposto della proibizione. Per essere più chiara: le “scene di eroina” degli anni ’80 non sono tanto il frutto della sostanza maledetta quanto di particolari subculture del consumo intensivo, che si sviluppano in risposta a particolari fenomeni sociali (fra cui spicca l’intolleranza sociale verso l’alterazione indotta dalle droghe illegali). Senza negare gli alti rischi dell’eroina, starei però attenta a focalizzare solo sulla “eroina demonio”, strumento del capitalismo per stroncare la meglio gioventù: mi sembra un po’ l’altra faccia della medaglia dell’opinione comune ispirata al proibizionismo. Resta però aperto un importante problema che voi sollevate: come tramandare e come far crescere insieme ai consumatori una cultura del consumo/dei consumi? Il dibattito è aperto.
Grazia Zuffa