E così alla fine il Decreto Speranza è risorto dalle proprie ceneri. Il Ministro della Salute Schillaci ha infatti emanato lo scorso 7 agosto la revoca della sospensione del provvedimento che inseriva nelle tabelle dei medicinali del Testo Unico sulle droghe, il DPR 309/90, le “composizioni per somministrazione ad uso orale di cannabidiolo (CBD, ndr) ottenuto da estratti di Cannabis“.
Se prendessimo la questione dal punto di vista medico-scientifico, non ci sarebbe alcun senso logico nell’inserire una medicina che non contiene sostanze psicoattive all’interno delle tabelle previste dalla legge sugli stupefacenti. Anche prendendola da quello giuridico, l’inserimento dei preparati a base di CBD ad uso orale nella Sezione B della tabella dei medicinali ha ben poche basi: dalle convenzioni, e dalle legislazioni conseguenti, è infatti esplicitamente esclusa la canapa ad uso industriale, dalla quale vengono estratti questi preparati. Il CBD non è sostanza psicoattiva e non è inserita nelle tabelle delle convenzioni internazionali. Fino al 20 settembre prossimo neanche in quelle della legge italiana. Se l’appiglio giuridico fosse quello che sono preparazioni genericamente “a base di cannabis” – la pianta di cannabis, con le esclusioni citate – è in effetti inserita nelle tabelle – ci ritroveremmo nella situazione assurda di poter vedere tabellati anche i pantaloni di canapa, e sequestrati quelli di Garibaldi conservati nel Museo Centrale del Risorgimento.
Fra le motivazioni addotte dall’attuale Ministro c’è poi la risibile citazione del voto contrario dell’Unione Europea alla raccomandazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sulle preparazioni a base di CBD, votata nel dicembre 2020 alla Commission on Narcotic Drugs dell’ONU a Vienna. E’ una citazione che mistifica la realtà. Per due ordini di motivi. Il primo è che la raccomandazione dell’OMS si riprometteva di fissare un tetto limite al cannabinoide psicoattivo (THC) presente in questi prodotti, per escluderli esplicitamente dal sistema di controllo internazionale anche in presenza di una percentuale di THC minima (inferiore allo 0,2%). Il secondo verte sulle motivazioni di quel voto contrario: basta andarsi a leggere la dichiarazione di voto per comprendere che le motivazioni furono più formali che sostanziali, e soprattutto legate al fatto che alcuni paesi ritenevano quel limite semmai troppo basso e la forma di inserimento (una postilla alle tabelle), una modalità innovativa che poteva suscitare problemi interpretativi e applicativi. Nelle motivazioni del voto dell’Unione, fra le altre cose, si legge testualmente di come “l’UE ha ritenuto di abbassare l’attuale livello di controllo per tali preparati” che suona come una smentita delle basi della riproposizione del decreto. Una linea confermata anche dalla giurisprudenza europea, che ha sentenziato che “uno Stato membro non può vietare la commercializzazione del cannabidiolo (CBD) legalmente prodotto in un altro Stato membro”.
Ma lasciamo stare il teatro dell’assurdo e torniamo alle vere ragioni, tutte politiche, di questo inserimento. Che viene da lontano: infatti il Ministro Schillaci non ha fatto altro che ripescare il Decreto Speranza, che allora sollevò proteste e richieste di ritiro. Inopinatamente il Ministro semplicemente lo sospese, lavandosene le mani e lasciando così la pallottola in canna al suo successore. Il quale, notare la finezza, ha semplicemente revocato la sospensione, lasciando quindi intatta paternità e contenuto del decreto originale. Allora la motivazione principale fu l’introduzione nel mercato dell’Epidolex, un farmaco a base di CBD prodotto dall’inglese GW Pharma, che per fortuna dopo l’approvazione dell’EMA e dell’AIFA non ha avuto alcun bisogno dell’inserimento in tabella per essere importato, prescritto e somministrato ai pazienti italiani.
C’è quindi un evidente interesse economico di Big Pharma a controllare un mercato promettente. Ma c’è anche un altrettanto evidente interesse politico che a questo punto pare esclusivamente volto a uccidere una filiera che con fatica e nell’incertezza normativa ha rappresentato una delle poche novità del panorama agricolo e imprenditoriale italiano. Un mercato che in questi anni si è sviluppato attorno alle proprietà, anche terapeutiche, riconosciute al cannabidiolo. Se appare giusto prevedere una regolamentazione più chiara rispetto alle preparazioni a base di CBD, in particolare per garantire i consumatori sulla qualità e provenienza degli oli, questa – come si è cercato di spiegare – non ha alcun motivo di coinvolgere il Testo Unico sugli stupefacenti. Basterebbe, come previsto già per altri “integratori”, definire una soglia di concentrazione al di sopra della quale il medicinale debba essere prescritto da un medico. Garantendo così sia la sicurezza e la reperibilità del prodotto per chi lo usa, che la crescita di un settore che sinora ha solo visto giovani imprenditori coraggiosi e consumatori e pazienti essere vittime dell’ottusa e ideologica guerra alla canapa. Una guerra a tutto comapo, visto che il prossimo intervento – già annunciato in alcuni emendamenti estivi del governo poi ritirati – potrebbe essere la sottomissione della cannabis light, e quindi delle infiorescenze a basso contenuto di THC, al regime dei Monopoli di Stato. A proposito di interessi, sarebbe nei fatti una devoluzione a Big Tobacco, e di conseguenza ai tabaccai.