In base a una sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea del 2020, i prodotti a base di CBD non devono essere considerati come stupefacenti, eppure, da oggi in Italia un decreto del ministro della Salute del governo Meloni, Orazio Schillaci, ha stabilito che la cannabidiolo (CBD), molecola non psicotropa presente nella cannabis, rientrerà tra le sostanze stupefacenti.
La norma risale però al 2020, voluta dall’allora Ministro Speranza, fu sospesa un mese dopo l’approvazione.
“Oltre a non comportare niente in termini di sicurezza, questo decreto colpisce duramente il mondo degli imprenditori che, a livello economico, si stima avranno un calo di fatturato del 35% – dice Antonella Soldo, coordinatrice dell’associazione Meglio legale – “Questa decisione non ha niente a che fare con il contrasto alle dipendenze, è dovuto esclusivamente ai pregiudizi sulla cannabis portando così avanti unaguerra alla droga che ha solo sbagliato i suoi obiettivi”.
Il CBD è infatti una molecola della pianta della cannabis che non ha effetti psicotropi, cioè stupefacenti, e non crea dipendenza in alcun modo dipendenza. Si tratta di una molecola che ha proprietà antinfiammatorie, antiepilettiche, antiemetiche e che, con il suo commercio sancito per legge dal 2016, ha aiutato in questi anni molti consumatori che non sono riusciti a recepire dal Sistema Sanitario la terapia a base di cannabis.
Il decreto del Ministro Schillaci porta ora un grande terremoto tra gli imprenditori che, con la Legge 242/2016 che disciplina la produzione e il commercio della canapa industriale, hanno fondato su questo settore il loro business. Lavoratori a cui finora è stato consentito di investire in ricerca scientifica, in laboratori e marketing. In questi anni il mercato della canapa industriale si è dimostrato uno dei settori più promettenti dell’agricoltura italiana e del commercio al dettaglio: in 7 anni ha creato più di 12mila posti di lavoro, soprattutto per i giovani under 35.
Ed è proprio la crescita economica italiana che questo decreto va a toccare: c’è infatti una sentenza della Corte europea di giustizia che specifica come che il CBD prodotto in un Paese dell’unione può circolare e essere venduto in tutti i Paesi. “Si colpisce la produzione italiana, ma non si può davvero limitare tutta la vendita – sottolinea Antonella Soldo – se un consumatore vuole acquistare del CBD di un altro paese in Italia lo può fare comunque. Ciò creerà grossi problemi anche alle aziende italiane che esportano: se il CBD è considerato una sostanza stupefacente, ci saranno una serie di autorizzazioni aggiuntive.”