Tempo di bilanci per il proibizionismo. Tempi durissimi, a dire il vero: più che un campanello di allarme, il coro di bocciature levatosi nel corso delle ultime settimane suona come la campana di Hemingway, che scandisce il funerale della strategia di guerra alla droga varata dall’assemblea generale Onu (Ungass) nel 1998.
La prima voce è stata quella dell’Unione Europea, tramite il recente rapporto commissionato agli esperti del Trimbos Institute e del Rand sull’evoluzione dei mercati delle sostanze illegali tra il 1998 e il 2007: “non emergono indici di un contenimento del problema delle droghe a livello mondiale”, conclude lo studio.
L’ago della bilancia sembra spostarsi dalle politiche penali di riduzione dell’offerta verso strategie sociosanitarie di contenimento della domanda, ma l’assestamento del consumo e la parziale riduzione delle criticità in ambito sanitario nei paesi occidentali risultano più che compensati dai profitti illegali, dall’instabilità istituzionale e dai gravi indici epidemiologici registrati in alcuni grandi paesi di transito (Iran e Russia, in particolare).
Le drug policies sinora attuate hanno rivelato una scarsa capacità di incidere sul traffico e sulla distribuzione di stupefacenti. La produzione di coca e oppio è rimasta stabile nel corso del decennio, nonostante le rispettive “terre elettive” (Colombia ed Afghanistan) abbiano sperimentato costosi quanto controversi interventi militari statunitensi.
Le azioni maggiormente aggressive nei confronti della produzione delle droghe hanno inoltre determinato lo spostamento delle coltivazioni in nuove regioni – in particolare dal Perù verso la Colombia ed in nuove province afgane – senza però riuscire ad incidere sui livelli di raccolto, mentre la lotta al narcotraffico registra, sebbene con percentuali oscillanti, un saldo pesantemente negativo (i sequestri intercetterebbero tra il 20 e il 40% della produzione totale).
I livelli di consumo sono complessivamente aumentati, grazie alla sostituzione di mercati ormai saturi con nuove popolazioni di drug users: la dipendenza da eroina si è diffusa nell’est europeo e nell’Asia centrale, mentre la cocaina ha conosciuto una significativa popolarità in Europa, dove le strategie di riduzione del danno – progressivamente affermatesi in tutti i Paesi occidentali – hanno saputo attutire l’impatto di alcuni degli aspetti maggiormente problematici legati all’abuso di sostanze (mortalità e deterioramento della qualità della vita).
La conclusione del rapporto è inequivoca: la lotta al traffico di stupefacenti ha provocato semplici redistribuzioni interne al mercato, mentre la proibizione non ha saputo contrastare la disponibilità di stupefacenti a basso costo, provocando significativi e prevedibili “danni collaterali”: esplosione del mercato illegale, criminalità indotta, utilizzo irrazionale delle risorse, diffusione d’infezioni.
Proprio in relazione agli aspetti sanitari, lo scorso 19 aprile il direttore esecutivo del Fondo mondiale per la lotta all’Aids, Michel Kazatchkine, tra i più stimati ricercatori impegnati nel campo, anticipando il suo discorso in occasione della XX Conferenza internazionale sulla riduzione del danno a Bangkok, ha rincarato la dose: “Le politiche repressive in materia di consumo di stupefacenti agevolano la diffusione del virus Hiv. L’uso di droghe non deve essere criminalizzato: da un punto di vista scientifico non riesco a comprendere questa impostazione”.
Infine grande rumore ha provocato la sentenza di fallimento della guerra alla droga pubblicata sulle colonne dell’autorevole The Economist, faro del conservatorismo internazionale.
Già vent’anni fa – come orgogliosamente ricordato dal settimanale britannico – la testata esprimeva la propria adesione alla battaglia per la legalizzazione delle droghe. Oggi così viene descritta l’illusione proibizionista: “È una promessa che piace ai politici, perché placa la paura collettiva (…) e cerca di rassicurare i genitori degli adolescenti di tutto il mondo. Ma è una promessa irresponsabile, perché non può essere mantenuta. La guerra alla droga è stata un disastro. È stata una lotta illiberale, criminale e inutile”. Ecco per chi suona la campana.
(A report on global illicit drug markets 1998-2007, a cura di Peter Reuter e Franz Trautman, su www.fuoriluogo.it)