Il 15 marzo Antony Blinken, segretario di Stato USA, fa il suo ingresso alla CND, Commission on Narcotic Drugs, a Vienna. Partecipazione non usuale, ci si aspetta che gli USA portino una parola forte in un appuntamento che deve fare il punto di medio termine sulla strategia globale decennale delle droghe, siglata nel 2019. Blinken è un falco della ‘war on drugs’, e infatti pone da subito una forte enfasi sulla ‘riduzione dell’offerta’, la lotta al narcotraffico, la risposta muscolare che da oltre 60 anni non produce nulla se non effetti disastrosi su persone che usano droghe e comunità. Ma poi, quando si arriva alla crisi del fentanyl, l’oppioide sintetico che negli USA ha ucciso oltre 500mila persone per overdose, Blinken non si limita alla lotta a produzione e traffico dei precursori (le sostanze che servono a produrlo), ma pronuncia la parola ‘riduzione del danno’ (RdD): secondo gli esterrefatti attivisti americani, è un vero evento, qualsiasi cosa RdD voglia dire per Blinken. Un po’ come se da noi la citasse Mantovano, facendone una priorità. Di fronte alla catastrofe avviata da Big Pharma e proseguita dai mercati illegali, nemmeno Blinken può chiudere gli occhi. Del resto, già l’agenzia USA sulle politiche delle droghe ha incluso per la prima volta la RdD nel suo piano nazionale. Come dice il suo direttore, Rahul Gupta: quello che serve è accesso al naloxone, informazione e educazione, più facile accesso ai trattamenti con sostitutivi e, a monte e soprattutto, lotta allo stigma. Una linea già sostenuta con forza da paesi come il Canada e l’Australia, anche essi colpiti, sebbene in diversa misura, dalla crisi del fentanyl, che non vedono nella lotta al narcotraffico una carta vincente: come dar loro torto, del resto, se anche quest’anno lo UNODC ha presentato i dati sconfortanti di sempre, una impressionante escalation dei mercati, delle sostanze e dei consumi. Lo UNODC dice anche che a ogni sostanza o precursore messi in tabella (cioè fuori legge) il mercato se ne inventa altri nel giro di pochi giorni. E dunque: RdD, servizi, educazione e de-stigmatizzazione di chi usa è ciò che a Vienna si prospetta strategico. Certo, si parla ancora di riduzione dell’offerta, ma con crescente dissenso sulla sua centralità, perché stride la contraddizione con i dati stessi dello UNODC: Non servirà a salvare vite. Cosa insegna Vienna in questi giorni a Mantovano e al suo ‘piano fentanyl’? Molto, volendo: che un programma governativo che speri di fronteggiare una (per ora eventuale) crisi mettendo fuori legge due molecole e intercettando qualche pacco dalla Cina è ridicolo (una piccola busta può fornire un mercato locale per un bel po’…), e dato che si tratta di vite, è anche irresponsabile. Che la lezione appresa dagli USA è che un paese privo della cultura e dei servizi di RdD, di accesso al naloxone, di educazione all’uso sicuro e che criminalizza e stigmatizza i consumatori è un paese impreparato e inerme. Il lancio del piano governativo sul fentanyl è una mossa vuota di evidenza e di efficacia: che arrivi il fentanyl o i nitazeni, avremo bisogno di quello di una grande campagna sul naloxone (in Italia, è un farmaco da banco dagli anni ’90, Mantovano lo sa? Gli USA dicono che questo è un passo cruciale…), di servizi di RdD in tutto il paese (sarebbero anche LEA dal 2017), di informazione laica e educazione all’uso sicuro, di drug checking per analizzare le sostanze e informare chi usa, di stanze per il consumo sicuro per salvare dalle overdose, di smetterla con lo stigma (a proposito di ‘zombies’). C’è stata una conferenza, a Genova nel 2021, dove decine di esperti hanno dato queste indicazioni. Carta straccia, per il governo. Un vero piano efficace per chi davvero vuole ridurre i rischi.
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