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Si può accettare che il sistema di tutela sociale delle cittadine e dei cittadini italiani possa essere disarticolato, distrutto, abbandonato senza che nessuno senta l’esigenza di alzare la voce, di gridare al pericolo, di denunciare l’ingiustizia che si sta perpetrando in Italia a danno innanzitutto di chi già è più in difficoltà?
E’ questo l’interrogativo che ha interpellato un gruppo di organizzazioni che oramai da anni assistono allo scempio che si va facendo di tutta la rete dei servizi sociali che sono operativi nei territori del nostro paese.
La mancata applicazione della nuova legge sui servizi sociali (la famosa e disattesa 328); la riforma del titolo quinto della nostra costituzione che ha aperto un conflitto permanente di competenze tra Stato e Regioni; la progressiva dismissione di capitoli di bilancio dedicati ad alcuni settori dell’attività sociale particolarmente sensibili, come le tossicodipendenze e i minori; la riduzione quantitativa del cosiddetto fondo unico indistinto che lo Stato trasferisce alle Regioni perché paghino i costi dei servizi sociali, hanno creato una miscela esplosiva che già ha determinato la chiusura di un numero importante di servizi di prossimità, di bassa soglia, di riduzione dei danni.
Il tutto nel compiacente silenzio del nostro Governo, portatore di una cultura e di un’ideologia centrate sulla necessità di togliere allo Stato, e quindi al pubblico, la gestione diretta dei servizi sociali per “delegarli” ad un privato sempre più pensato come assistenziale/caritatevole, poco professionalizzato e a costi bassissimi. E’ la filosofia non della tutela dei diritti di cittadinanza, ma degli interventi di ultima istanza: con il sostanziale consenso anche delle autonomie regionali che dimostrano di condividere l’approccio conservatore, giustificandolo con la progressiva riduzione delle risorse economiche disponibili; ma evidenziando nei fatti il totale disinteresse per politiche centrate sui diritti di cittadinanza. Altrimenti non si capirebbe perché anche regioni governate dal centro sinistra non decidano di porre rimedio in proprio a questo degrado progressivo che ora rischia di intaccare i bisogni e il benessere di coloro che si trovano non solo nella fascia della povertà assoluta, ma anche in quella della cosiddetta “povertà relativa”.
D’altro canto, fasce sempre più consistenti di organizzazioni della cosiddetta società civile o sono preoccupate che una presa di posizione forte e determinata di denuncia e rivendicazione possa mettere i discussione la loro sopravvivenza, perché soggette al ricatto della dipendenza economica dal finanziamento pubblico; oppure versano già in grave difficoltà per il ritardo oramai di uno o due anni nel pagamento dei corrispettivi per i servizi prestati e meditano sulla possibile cessazione di attività; alcune, fatto ben più grave, si sono illuse che un atteggiamento più cauto nei confronti del manovratore politico possa permettere loro un galleggiamento meno doloroso possibile.
Una tale scelta comporta però, volenti o nolenti, l’accettazione del modello culturale dominante, se non addirittura la sua sottoscrizione e approvazione.
Per fortuna non tutti ci stanno. Un fronte importante di associazioni del sociale ha deciso di mobilitarsi dando voce al dolore di molti e gridando il loro no a questa deriva apparentemente inarrestabile: si è costituito un cartello-movimento, che ha programmato una serie di iniziative di protesta e di mobilitazione civile.
Il primo tassello per aprire il conflitto sociale è la stesura di un manifesto pro-welfare che verrà presentato alla stampa prima di dare il via ad una campagna di sottoscrizione popolare dal prossimo primo luglio. Il manifesto sarà integrato e completato da un documento di proposta articolato sui singoli ambiti e settori di attività del welfare del nostro paese. Esso sarà la base per un confronto di merito con i livelli istituzionali nazionali e regionali, per approdare in autunno ad una giornata nazionale di mobilitazione e protesta di coloro che hanno a cuore il benessere per tutti, l’uguaglianza delle opportunità, la giustizia sociale, il diritto ai diritti.

Presidente nazionale CNCA