Da Trieste la comunità internazionale lancia un appello per “elezioni presidenziali credibili” in Afghanistan, nel giorno in cui Hamid Karzai invita i talebani ad andare a votare. “Siamo tutti impegnati perch‚ le consultazioni del 20 agosto si svolgano in condizioni di sicurezza per un risultato legittimato dal popolo afgano” dice il ministro degli Esteri Franco Frattini, durante la conferenza stampa conclusiva del G8 – che ieri e oggi si è allargato a ben 40 delegazioni proprio per discutere del delicato dossier Af-Pak (ossia Afghanistan-Pakistan). Secondo Frattini, il processo di riconciliazione nazionale afgano auspicato da Karzai va “fortemente sostenuto”.
Nel frattempo, gli Usa attraverso l’inviato speciale Richard Holbrooke dichiarano ufficialmente fallita la strategia dello sradicamento dei campi di papaveri da oppio: “E’ una perdita di denaro” spiega Holbrooke all’Ap a margine della riunione degli otto Grandi, annunciando che i finanziamenti americani verranno deviati sui dispositivi di sicurezza e controllo antidroga e sulla promozione di coltivazioni alternative e legali. “Vi è un accordo pieno per sostenere l’Afghanistan nel processo elettorale” assicura Frattini, che cita un “duplice impegno” a tale scopo: quello dell’Unione Europea che “invierà e coordinerà una missione di osservatori” e quello Osce con una “missione parallela di monitoraggio e supporto alla commissione elettorale”.
L’Italia, dal canto suo, “invierà un battaglione supplementare” – “fino a 500 uomini per il periodo elettorale” – consapevole che la sicurezza è uno “strumento” fondamentale di un approccio alla crisi che vuole essere “politico, globale e regionale”. Proprio in quest’ottica, l’agricoltura e il narcotraffico risultano due pilastri per la ricostruzione e per la stabilizzazione.
L’Afghanistan è il principale fornitore mondiale di oppio, con circa il 93 percento delle colture utilizzate per la produzione di eroina.
In base alle cifre Onu, i talebani e le varie formazioni qaediste ne hanno ricavato dai 50 ai 70 milioni di dollari soltanto l’anno scorso. In un rapporto pubblicato proprio questa settimana, l’Ufficio delle Nazioni Unite contro la Droga e il Crimine (Unodc) riferisce che la coltivazione di papavero da oppio l’anno scorso è effettivamente calata del 19 percento rispetto all’anno precedente, ma è ancora concentrata nelle tre province meridionali controllate dalla guerriglia del mullah Omar.
Secondo Holbrooke, le precedenti politiche statunitensi fondate sui programmi di sradicamento non hanno ridotto “di un solo dollaro” i proventi dei talebani dalla coltivazione e produzione di oppio. “Magari hanno distrutto qualche appezzamento di terra” osserva l’emissario di Obama per l’Afghanistan, “ma hanno solo aiutato i talebani”. “Stiamo essenzialmente tagliando il nostro sostegno allo sradicamento delle coltivazioni da oppio e usiamo questi soldi per lavorare sulle politiche di interdizione, sullo stato di diritto e sulle coltivazioni alternative” dice all’Ap.
Allo stesso tempo, poi, Washington sta aggiornando le sue modalità di intervento sui programmi agricoli. Holbrooke parla di un “grande cambiamento”. “Abbiamo ottenuto buoni riscontri ed è la cosa giusta da fare” commenta.
L’agricoltura figura fra le questioni principali affrontate dai delegati presenti alla riunione di Trieste e nella loro dichiarazione finale viene descritta come la “chiave per il futuro dell’Afghanistan e del Pakistan, cosí come per gli altri paesi della regione”. Il documento propone una “estesa cooperazione agricola che potrebbe favorire lo sviluppo rurale, la sicurezza alimentare, la crescita dell’occupazione, un innalzamento del reddito, alternative alla coltivazione di papavero e infine minori tensioni nella regione”.
“Con il polo romano dell’Onu abbiamo pensato di elaborare un ‘piano Marshall verde'” aggiunge Frattini, precisando che si tratta di “un piano d’azione che preveda incentivi per riprendere le colture un tempo redditizie con le quali sostituire quelle di oppio. L’agricoltura – è convinzione comune – è la chiave del successo in Afghanistan”. Oltre a tutto ció, nella dichiarazione finale sull’Af-Pak si mette l’evidenza sullo sviluppo economico, sui rifugiati, sul controllo dei confini.
“Frontiere comuni richiedono risposte comuni” rimarca Frattini.
Il G8 pensa a una “gestione comune con centri regionali coordinati in cui personale afgano e pachistano insieme, coordinino ad esempio i posti di frontiere” con gli “stessi criteri di ispezione e gli stessi principi di azione doganale”.
Perch‚ “se circolano le informazioni e se circolano i dati di intelligence alle frontiere, i criminali possono essere individuati”. E qui entra in gioco l’Iran, convitato di pietra ai lavori di Trieste. Il ministro degli Esteri italiano torna a ribadire che boicottare il G8, dal punto di vista di Teheran è stata “un’occasione persa”.
“Questa regione del mondo è una regione che su temi essenziali, come il traffico della droga o lo sviluppo agricolo, gli interessi di cui abbiamo parlato e gli interessi iraniani coincidono” a detta di Frattini, “spetta quindi all’Iran trasformare questo interesse in una reale partecipazione”. La Repubblica islamica, peró, mantiene le distanze e, per bocca del portavoce del ministero degli Esteri Hassan Qashqavi, “si rammarica della posizione assunta dai ministri degli Esteri del G8 (sulle repressioni di Teheran, ndr) che – secondo i mullah – è un’ingerenza nelle elezioni iraniane, e ricorda loro che il voto presidenziale (del 12 giugno, ndr) si è svolto in un’atmosfera di libera e corretta competizione”.