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Emergono i primi ostacoli, insieme a opportunità di discussione, per quello che viene considerato un banco di prova per l’applicazione delle terapie psichedeliche negli Stati Uniti. Il 4 giugno scorso la riunione-fiume di nove ore del comitato consultivo psicofarmacologico della FDA (Food & Drug Administration), relativo alla terapia coadiuvata dall’MDMA (anche nota come Ecstasy o Molly) per il trattamento del PTSD (disturbo da stress post-traumatico) e trasmessa in diretta via YouTube, ha prodotto un risultato del tutto inatteso: voto negativo quasi all’unanimità.

I dati forniti dai test clinici, condotti fin dal 1996 sotto l’egida della non-profit MAPS (Multidisciplinary Association for Psychedelic Studies) e dell’annessa entità imprenditoriale di recente formazione Lykos Therapeutics, non hanno convinto gli 11 esperti sia rispetto all’efficacia concreta della terapia sia nel rapporto tra benefici e potenziali rischi. In particolare, il comitato ha ritenuto che i dati forniti non ne dimostrerebbero l’efficacia concreta e definitiva (9 sì, 2 no), mentre restano elevati i possibili rischi (10 sì, 1 no).

Una delle questioni centrali ha riguardato l’inedita combinazione tra sostanza e psicoterapia: l’agenzia federale può autorizzare o meno soltanto l’uso di medicinali in base a specifiche circostanze, ma non interviene né regola in alcun modo la psicoterapia, in questo caso invece elemento cruciale dell’intero percorso.

Altro punto cruciale, la dubbia garanzia della piena sicurezza nella somministrazione di MDMA, che comunque richiederebbe una pesante serie di restrizioni e contro-indicazioni. Neppure così evidente l’efficacia concreta del trattamento, per la scarsa affidabilità dei test a doppio cieco, nel senso che risultava evidente chi avesse assunto la sostanza e chi invece solo il placebo (com’è d’altronde tipico nel caso degli psichedelici), portando quindi i soggetti ad avere ovvie aspettative e predisposizioni nei risultati descritti.

Fra le molte domande seguite alla presentazione dei dati raccolti da MAPS/Lykos, i membri del comitato hanno altresì chiesto dettagli su possibili pratiche pericolose nell’assunzione di MDMA, tra cui uso ripetuto e abuso, overdose ed effetti negativi a lungo termine – dati mancanti perché nient’affatto previsti nel protocollo operativo e su cui hanno fatto ammenda sia MAPS/Lykos che la stessa FDA. Notata anche l’assenza di dati sulla salute cardiaca ed epatica dei partecipanti dopo la terapia con MDMA.

Sono emerse anche certe controversie relative alle pratiche e alle responsabilità dei terapeuti, oltre che di qualche raro caso di abuso sessuale e psicologico emersi nel corso dei test clinici, e soprattutto di come  prevenirli in maniera efficace, considerata l’estrema vulnerabilità dei soggetti sotto l’effetto di sostanze psicotrope.

Nel complesso gli esperti del comitato hanno rivelato una certa apprensione, anche al di là delle specifiche questioni prese in esame, come ha poi confermato il voto finale negativo quasi all’unanimità. Va sottolineato che questo parere non è vincolante ma generalmente trova conferma nella decisione finale della FDA, in questo caso prevista entro agosto. Rispetto alla quale MAPS/Lykos si dice comunque fiduciosa, avendo al contempo avviato la procedura per ottenere quattro diversi brevetti per una propria formulazione dell’MDMA (il cui composto base è di pubblico dominio, come per gli altri psichedelici), onde poterli poi applicare in esclusiva se/quando arriverà il semaforo verde delle autorità. E oltre a lanciare la tipica campagna di PR sui social media, si è impegnata a risolvere i problemi e le lacune evidenziate, esprimendo “sostegno incrollabile per una ricerca approfondita, per meticolose valutazioni di sicurezza ed efficacia e per una rigorosa supervisione normativa di tutti gli sforzi terapeutici assistiti da sostanze psichedeliche”.

Da notare che, oltre a spunti critici in circolazione da tempo, nelle settimane precedenti un gruppo di studiosi, pazienti e cittadini motivati aveva diffuso una petizione pubblica per invitare a considerare le conseguenze impreviste, i potenziali rischi e varie lacune nei risultati dei test clinici. Nel testo, poi sottoscritto da circa 80 firmatari, si leggeva fra l’altro: “L’approvazione di una combinazione farmaco-psicoterapia costituirebbe un precedente unico per la FDA. Si tratta di una decisione assai rischiosa con conseguenze significative”. Sono stati anche raccolti svariati commenti pubblici, poi sintetizzati in un successivo rapporto del non-profit Institute for Clinical and Economic Review (ICER) che segnalava serie preoccupazioni proprio rispetto alla metodologia finora applicata nelle tre fasi dei test clinici, i cui risultati positivi sembravano puntare a un’approvazione senza problemi.

L’inattesa votazione del comitato consultivo ha trovato immediata eco sia su varie testate sia soprattutto su Twitter/X, sollevando dubbi e riflessioni su una decisione che, nell’auspicio generale, dovrebbe spalancare le porte alla “medicina psichedelica”. Questa, tanto necessaria quanto sospinta da entità di vario tipo – da Big Pharma ai neo-imprenditori, dalla filiera underground al Ministero dei reduci di guerra – con un fiume di capitali è diventata un settore potenzialmente remunerativo, pur se caratterizzato dalla perdurante illiceità pressoché ovunque (eccetto per casi quali la depenalizzazione a uso personale in alcune città USA e l’uso medico per MDMA e psilocibina di recente approvazione in Australia).

Ovviamente tale fronte eterogeneo, con MAPS in prima fila, spinge per l’approvazione così com’è formulata sia perché trattasi procedura complessa e costosa da ripetere modificandola sia come risposta all’attuale crisi generalizzata della salute mentale, in particolare per chi è affetto da traumi violenti o sessuali e i tanti reduci di guerra. Altre fonti propongono invece di rallentare l’iter (e in generale il cosiddetto “hype”, l’entusiasmo diffuso) per affrontare in dettaglio gli aspetti controversi già accennati e qualche metodologia lacunosa, proprio perché questo sull’MDMA può diventare il piedistallo su cui poggiare i futuri sviluppi dell’intera scienza psichedelica.

Al centro della discussione restano comunque i limiti e le carenze di vari studi odierni, certi rischi imprevisti e potenziali letture errate di guarigione, oltre alle problematiche concerneneti la formazione e le pratiche etiche degli stessi terapeuti e fino a faccende più mondane ma non meno importanti per i potenziali pazienti, tra cui accesso, costi e rimborsi assicurativi.

Più in generale, anche volendo ridurre gli psichedelici a semplice “medicina” come cavallo di Troia per superarne lo stigma sociale e promuoverne l’accettazione, occorre un approccio più articolato, trasparente e aperto alle critiche (evitando ad esempio il presunto “therapy cult” vigente nella stessa MAPS/Lykos, secondo alcuni attivisti). Non ultimo onde prevenire riduttivismi o finanche scandali di varia natura, che finirebbero soltanto per fare il gioco di quanti vogliono mantenere l’attuale regime proibizionista, il cui urgente superamento rimane priorità condivisa della diversificata comunità psichedelica USA (e globale).

Al momento la discussione procede variamente online, senza risparmiare gli spunti polemici né i toni accesi, fino alla propaganda), rispecchiando le tante anime che danno vita all’arcobaleno psichedelico. A riprova del fatto che questo parere negativo del comitato consultivo, lungi dall’essere un intralcio al revival psichedelico in atto, si pone come utile opportunità per motivare ulteriormente il confronto generale pur con certe differenze (che uniscono?) – in attesa della decisione finale della FDA prevista entro agosto.