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“Dateci almeno la “Simeone””, è stata la cantilena rivolta al Parlamento e al ministro di Grazia e giustizia da tutto il mondo delle associazioni, del volontariato, degli operatori, in qualche modo attento o coinvolto nelle problematiche penitenziarie. Almeno la “Simeone”, perché altri provvedimenti relativi al miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro nelle carceri italiane, in questa legislatura, almeno finora, non sono giunti a una approvazione definitiva. E la “Simeone-Saraceni”, finalmente, è arrivata. Non una proposta innovativa, quella presentata dal deputato di AN, se è vero che già dalla precedente legislatura attendeva discussione un analogo disegno di legge presentato da Luigi Manconi ed elaborato insieme al dottor Francesco Maisto e a Giuliano Pisapia. Licenziata già il 1° ottobre 1996 dalla Camera, dopo un anno il Senato ha approvato il testo, modificandone, in maniera significativa alcune parti e, soprattutto, ampliando ulteriormente i termini di accesso alle misure alternative. Vediamo come. Si sa che il maggiore ostacolo per i condannati a scontare pene detentive brevi siano i tempi lunghi di decisione dei tribunali di sorveglianza: troppo spesso accade che, pur essendo nei termini per l’affidamento in prova al servizio sociale (art.47 Ordinamento Penitenziario), per l’affidamento in casi particolari (art.47 bis O.P.), per la detenzione domiciliare (art. 47 ter O.P.), per la semilibertà (art. 48 O.P.), il detenuto non riesce a ottenere le misure, finendo per scontare la pena in gran parte, se non interamente, in carcere. Il testo approvato dalla Camera, in prima lettura prevedeva l’automatica sospensione da parte del PM dell’ordine di esecuzione di tutte le sentenze di condanna a pena detentiva non superiore a tre anni e, dunque, il diritto del condannato di usufruire delle misure alternative alla detenzione stabilite dal tribunale di sorveglianza. Tale automatismo è stato modificato dal Senato: la legge approvata, infatti, non prevede più un “intervento d’ufficio” da parte dei tribunali, bensì collega la possibilità di usufruire delle misure a una apposita istanza documentata dell’interessato. Si è stabilito, in altre parole, la sospensione dell’esecuzione da parte del PM, ma seguita dall’attivazione della procedura di richiesta della misura alternativa su domanda e non d’ufficio. Se la pena da scontare non è superiore a tre anni (a quattro se si tratta di reati connessi in relazione allo stato di tossicodipendenza), il condannato potrà presentare l’istanza per ottenere la concessione di una delle misure alternative o la sospensione dell’esecuzione della pena (art. 90 testo unico sulle tossicodipendenze), indirizzarla al pubblico ministero entro trenta giorni dalla consegna dell’ordine di esecuzione e del decreto di sospensione dell’esecuzione della pena. La possibilità di presentare istanza – particolare estremamente significativo – è consentita anche quando la pena detentiva costituisce parte residua di una pena maggiore; da questa possibilità sono però esclusi i condannati per i delitti particolarmente gravi (art. 4 bis). Le altre novità principali riguardano l’art.47, il 47 ter, il 50, oltre che il significativo aumento di 684 unità della dotazione organica degli assistenti sociali coordinatori e di 140 operatori amministrativi dell’Amministrazione penitenziaria. La concessione dell’affidamento è resa definitivamente indipendente dalla detenzione: il condannato, cioè, senza l’osservazione in istituto, potrà essere ammesso all’affidamento se “dopo la commissione del reato” ha tenuto un comportamento tale da consentire un giudizio positivo sull’utilità dell’applicazione della misura. Se l’esecuzione della pena è già iniziata, il condannato può chiedere la misura al magistrato di sorveglianza (e non al PM), che potrà rimettere in libertà il condannato quando riterrà sufficienti i presupposti per l’ammissione al beneficio, quando il protrarsi dello stato detentivo possa arrecare “grave pregiudizio” al condannato e quando appaia inesistente il pericolo di fuga. La detenzione domiciliare ha subìto una consistente modificazione, grazie soprattutto agli emendamenti presentati dalla senatrice Ersilia Salvato: il livello massimo della pena è stato elevato da tre a quattro anni. È raddoppiato da cinque a dieci anni il limite massimo di età che dà diritto all’assistenza della madre nonché – e questa è una novità assoluta – anche del padre. Inoltre il 47 ter può essere richiesto in caso di pena detentiva inflitta non superiore a due anni (anche se parte residua di maggior pena), se non vi siano i presupposti per l’affidamento e la misura appaia adeguata a prevenire la commissione di ulteriori reati. Altra notevole innovazione riguarda la semilibertà: per i condannati a pena detentiva non superiore ai tre anni, anche prima di aver scontato metà della pena, è prevista la possibilità di essere ammessi alla semilibertà in tutti i casi in cui non sussistano i presupposti per l’affidamento in prova. Dopo quasi due anni di governo, l’Ulivo si è finalmente ricordato che esiste, nel nostro Paese, un’emergenza carcere. A noi spetta ricordargli che si è trattato solo di un primo passo.