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Il 28 Aprile scorso circa ventimila persone hanno sfilato per le vie di Londra, chiedendo la decriminalizzazione della canapa indiana. La manifestazione ha avuto un grande successo a dimostrazione di una nuova vivacità del movimento antiproibizionista inglese, che, a quanto sappiamo, ha intenzione di ripetere l’iniziativa nazionale per l’anno prossimo. Abbiamo chiesto a Danny Kushlick, direttore dell’associazione “Transform”, una “nuova nata” nella galassia antiproibizionista, di illustrarci lo stato del movimento e gli obiettivi. Danny, parlaci intanto di “Transform”? Com’è nata? Ho fatto per un certo tempo lavoro di “counselling” di strada coi tossicodipendenti coinvolti nella microcriminalità per procurarsi le sostanze. Mi sono reso conto, insieme ad altri colleghi, che le leggi antidroga non aiutavano affatto a risolvere i problemi dei consumatori, anzi, ostacolavano il nostro lavoro. Allora abbiamo pensato di entrare in qualche organizzazione che lottasse contro il proibizionismo, ma c’erano solo movimenti che si occupavano della canapa indiana! Per questo abbiamo deciso di fondare la nostra organizzazione a Bristol nel 1995. Per ben due anni abbiamo lavorato solo su base volontaria, la sede era in casa mia. Abbiamo cominciato scrivendo ai politici, chiedendo loro perché erano a favore delle politiche proibizioniste. Guarda caso, le nostre lettere si perdevano, oppure ricevevano risposte evasive: abbiamo capito che i politici non erano in grado di spiegare le ragioni delle loro scelte. Via via ci siamo guadagnati l’adesione, a livello individuale, di molte personalità: deputati e membri della Camera dei Lords, avvocati, ufficiali di polizia, medici, uomini d’affari, insegnanti, consumatori di droghe e detenuti… Circa un centinaio di aderenti a livello nazionale, ma l’anno prossimo saranno molti di più. Su quali obbiettivi pensate di lavorare? Vogliamo costruire una grande organizzazione di massa che lotti per una completa revisione delle leggi sulle droghe, illegali e legali. L’obiettivo principale è di superare il proibizionismo e sostituirlo con politiche efficaci che tutelino la salute e gli aspetti sociali. Alla fine del ’97 abbiamo ricevuto dei finanziamenti: serviranno a creare un vasto movimento per un mutamento alla radice degli orientamenti sulle droghe. Quando la maggioranza dei cittadini che votano chiederà una svolta radicale, allora il governo dovrà prendere sul serio l’antiproibizionismo. Tu dici che “Transform” è nata perché il panorama dell’antiproibizionismo inglese non era soddisfacente? Puoi dirci qualcosa di più? Alla vigilia della manifestazione di quest’anno “Transform” ha organizzato un meeting per coordinare l’iniziativa antiproibizionista a livello nazionale. La gran parte dei gruppi sono attivi sulla canapa, e alcuni di loro lavorano quasi esclusivamente su Internet; altri invece promuovono “parties” dove si “fuma” sfidando la legge. Poi c’è “Release”, un’organizzazione che difenda i consumatori che vengano arrestati , ma è impegnata anche sulla politica delle droghe. Il gruppo della “Drug Policy Review”, che prima era diretto da John Marks, si sta accreditando come un punto di elaborazione molto forte. C’è anche il CIIR (Istituto cattolico per le relazioni internazionali), che si batte sul tema del rapporto fra le leggi sulle droghe e i diritti umani, facendo soprattutto riferimento alla violazione di questi diritti con i programmi dell’ONU nell’America Latina. In conclusione, il movimento antiproibizionista inglese è ancora molto giovane. Però siamo pieni di entusiasmo, e cominciamo ad avere significativi collegamenti transnazionali. In poco tempo spero che il nostro movimento diventi una forza importante a livello internazionale. Vedi dei cambiamenti nell’attuale politica sulle droghe? Che ne dici di Tony Blair, che non perde occasione per dichiararsi un proibizionista convinto? Quando Blair ha insediato lo “zar” delle droghe, eravamo molto preoccupati. Era una mossa per andare dietro all’America, come molte altre peraltro. Ci aspettavano il peggio anche perché l’incarico era stato dato ad un ex ufficiale di polizia di alto livello. Ma insieme è stato nominato il suo “vice”, che invece è un ex operatore delle tossicodipendenze. Quest’accoppiata di fatto funziona bene. Nel recente documento programmatico lo “zar” non parla quasi mai di repressione, e punta molto sui trattamenti e l’educazione. D’altra parte, né la polizia né l’opinione pubblica sosterrebbero un inasprimento della repressione. Oggi si stima che ben la metà dei delitti contro la proprietà sia correlata alla droga e metà della popolazione carceraria è detenuta in virtù delle leggi antidroga. Dunque sei abbastanza ottimista sull’evoluzione del senso comune su questo problema… Ormai i più riconoscono che la proibizione sta provocando maggiori problemi di quanti non ne risolva, e alcuni dei più importanti sostenitori della riforma appartengono alle forze di polizia. Ad esempio, il comandante John Grieve, del nucleo dei Servizi segreti criminali di Scotland Yard, ha recentemente dichiarato in TV: “Se il problema delle droghe continua ad estendersi come sta avvenendo oggi, ci troveremo di fronte ad opzioni terribili. O si va incontro a un drastico restringimento dei diritti civili, o bisogna cercare soluzioni radicali. Il problema che dobbiamo porci è se la giustizia penale possa risolvere questo particolare problema”. L’Europa può avere un’influenza sulle politiche dell’ONU? A quanto pare, l’Unione Europea sta cominciando a “mostrare i muscoli”, sia a livello economico che politico, e questo influenzerà le decisioni politiche anche fuori dell’Europa. Lo slogan delle Nazioni Unite per l’Assemblea generale sulle droghe di New York è, come sapete, “Un mondo libero dalla droga, possiamo farcela!”. L’intento è di distruggere completamente le coltivazioni di droghe (soltanto quelle illegali naturalmente!) entro il 2008. Questo programma è però agli antipodi delle politiche nazionali di molti Paesi. Nei prossimi anni ci sarà un conflitto fra la retorica e il pragmatismo, fra le politiche internazionali e quelle locali. Alla fine il pragmatismo vincerà e fra circa vent’anni tutte le droghe saranno legalizzate: perché è la politica più efficace sulle droghe.