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E’ un fiume ininterrotto di eroina e ha le sue sorgenti in Afghanistan. Attraversa l’Asia centrale, la Russia e i Balcani, per arrivare fino al ricco mercato europeo. Si tratta d’un traffico verso il quale la coalizione internazionale militare impegnata nel Paese centro-asiatico sembra impotente, tra le proteste di una Russia che si sente invasa dalla droga. Oggi, però, gli Usa – principali protagonisti del conflitto afgano – sembrano intenzionati a offrire una maggiore collaborazione. Il capo dell’Ufficio per lo politiche antidroga di Washington Gil Kerlikowske era oggi a Mosca e, al suo corrispettivo russo Viktor Ivanov, ha promesso un’escalation della lotta alnarcotraffico.
La visita del funzionario americano ha avuto lo scopo tacitare le lamentele continue di Mosca, secondo la quale la Nato non s’impegna a sufficienza per fermare il traffico di eroina afgana.
I due capi dei servizi antidroga hanno concordato una maggiore cooperazione nell’ambito dello scambio d’informazioni e nelle operazioni congiunte dirette al contrasto del traffico.
Quando Mosca pungola gli Usa sulla questione della droga, in realtà interpreta una sua doppia esigenza: la prima sociale, la seconda più squisitamente geopolitica.
La scorsa primavera il vicedirettore del servizio antidroga russo Fksn Yury Maltsev lanciò una denuncia shock: dall’inizio della guerra al terrorismo Usa e, quindi, con l’arrivo in Afghanistan nel 2001 delle forze della coalizione a guida Usa, la produzione di eroina del Paese centro-asiatico s’è moltiplicata di 44 volte e l’area delle piantagioni di oppio di 40 volte. Dati, questi, che in realtà non coincidono con quelli che forniva l’agenzia Onu che si occupa della lotta alla droga, l’Unodc, secondo i quali negli anni precedenti al 2001 l’Afghanistan produceva 3-4mila tonnellate di oppio, mentre nel 2008 ne ha prodotte circa 7.700. Poco più d’un raddoppio, insomma, che tuttavia non toglie il fatto: la coalizione non sta riuscendo a debellare il fenomeno, anzi la situazione s’è aggravata da quando è presente nel Paese centro-asiatico.
L’Afghanistan, insomma, è il buco nero dell’instabilità centro-asiatica anche per quanto riguarda i narcotraffici. Il 92 per cento dell’eroina mondiale è originato in questo Paese martoriato da 30 anni di guerre ininterrotte. E la vicina Russia subisce le conseguenze di questa situazione fuori controllo, con circa 30mila morti stimati all’anno per tossicodipendenza, con un danno per l’economia stimato in 54 miliardi di dollari. Secondo l’Unodc circa il 2 per cento dei russi fa uso di una qualche droga.
Secondo l’analisi russa sono tre i percorsi che l’eroina afgana segue per arrivare ai suoi mercati. “Uno dei principali è quello dei Balcani, che va in Europa attraverso l’Iran e la Turchia. Il secondo è quello del Nord, conosciuto anche come Via della Seta, il quale presenta poche difficoltà nel far filtrare la droga in Russia, apparentemente per il fatto che ci sono frontiere indistinte. Il terzo è il percorso meridionale, che passa attraverso il Pakistan, l’India e poi, via mare, va in tutto il mondo”, ha spiegato lo scorso anno Ivanov. La Via della seta è seguita, secondo l’Unodc, da circa il 10 per cento della produzione afgana. Il principale “hub” del narcotraffico regionale è il Tagikistan, che ha la frontiera più lunga con l’Afghanistan.
L’altro aspetto della vicenda è quello geopolitico. Attraverso uno dei raggruppamenti di cui fa parte, l’Organizzazione per la sicurezza di Shanghai (Sco), che ha come altra capofila la Cina, Mosca ha più volte espresso la sua volontà di essere parte attiva nella lotta al narcotraffico, anche formando una “cintura di sicurezza” rispetto all’Afghanistan. Abbastanza evidente, da questo punto di vista, il fatto che la lotta al narcotraffico appare essere il veicolo del coinvolgimento russo nella vicenda afgana, nella quale non vuole entrare direttamente – per esempio, inviando truppe – memore dei devastanti antecedenti storici, ma che comunque ha un suo peso per la stabilità regionale che è una delle priorità della politica estera russa. E così a dicembre il presidente russo Dmitri Medvedev ha offerto alla Nato l’invio di specialisti russi dell’antidroga per la formazione dei loro colleghi afgani.
Un passo importante per le sinergie fra Stati Uniti e Russia contro il narcotraffico, cocaina compresa. “Abbiamo firmato un protocollo di cooperazione per il gruppo di lavoro misto russo-americano sulla lotta alla droga”, afferma in un’intervista all’agenzia stampa Apcom Viktor Ivanov, influente esponente dei ‘siloviki’ – gli uomini forti vicino ai Servizi e all’Esercito – e direttore del Servizio federale russo per la lotta al narcotraffico. “Si tratta di uno strumento per lavorare nella prospettiva di una cooperazione sul lungo periodo” all’interno della commissione Medvedev-Obama, creata dai leader del Cremlino e della Casa Bianca lo scorso luglio a Mosca.
Ivanov si dice soddisfatto dei primi risultati di tale operazione, che ha visto in questi giorni un’operazione capace di sventare una rete di narcotraffico dalla Repubblica Dominicana, bloccato dalle forze russe grazie alle informazioni ricevute dall’America. “Noi e gli Usa abbiamo messo sotto controllo un gruppo di trafficanti dominicani; li abbiamo bloccati e abbiamo sventato le loro operazioni illegali”, afferma Ivanov. “Il loro aereo era atterrato a Parigi”, sottolinea, specificando che “la cocaina dall’America latina viene esportata non solo in Russia ma anche in molti Paesi europei tra i quali l’Italia” e la cooperazione tra Russia e Usa non riguarda soltanto gli oppiacei dall’Afghanistan, ma avrà un raggio ben più ampio.
Il protocollo riguarda differenti ambiti di azione, dal “controllo della vendita e degli acquisti” fino allo “scambio di informazioni” fissando “le rotte del traffico di stupefacenti”, come ad esempio quella balcanica dell’eroina che arriva anche in Italia, e con la “distruzione delle coltivazioni di oppio”, continua Ivanov nel suo colloquio con Apcom.
Si punta inoltre a creare una banca dati sui narcotici per “identificare luogo di coltivazione e produzione”. Un sistema che permetterà di determinare una vera e propria carta d’identità dell’eroina proveniente, ad esempio da Kandahar. “Luogo di coltivazione, luogo di produzione, genotipo”.
Quanto alla produzione di oppio in Afghanistan, Ivanov mantiene un atteggiamento critico verso la situazione nel Paese. “Non vedo miglioramenti: difficile considerare che qualcosa stia funzionando quando gli Stati Uniti e alcuni Paesi europei si trovano a dover mandare ancora più truppe e mezzi”. Nel frattempo Kabul resta la ‘capitale’ mondiale per la produzione di oppiacei, “7.500 tonnellate nel 2009 che prevediamo saliranno nel 2010 a 8.200”. Un “arsenale, capace di creare una vera fortuna finanziaria, destinata a sostenere i ribelli”.
Nel frattempo la posizione della Russia è ferma: “Il ministero degli Esteri ha detto chiaramente che noi non manderemo contingenti militari”, chiosa Ivanov, che da sempre sostiene che contro i terroristi si combatte con altri metodi: rete di spionaggio, ricerca di informazioni, tecniche speciali. “L’aviazione? Non serve”.