Vicenda Morgan. Chissà se al sottosegretario Giovanardi piacciono i Beatles. Forse sì, a chi oggi non piacciono i Beatles? Se, per incanto fosse stato possibile avere come ospiti i Beatles a Sanremo 2010, chissà se il sottosegretario Giovanardi si sarebbe opposto. Le ragioni ci sarebbero; ad esempio, il 24 luglio 1967 i quattro di Liverpool acquistano uno spazio sul Times, ci mettono le loro facce e scrivono: “the law against marijuana is immoral in principal and unworkable in practice”, firmato i Beatles, Brian Epstein e un lungo elenco di scrittori, artisti e politici. Cattivi maestri? Cattivissimi, visto che consumavano anche eroina, cocaina e Lsd. Eppure, temo che al Dipartimento politiche Antidroga molti amino ascoltare Charlie Parker (eroina, anfetamine), David Crosby (cannabis, cocaina, Lsd), da giovani abbiano letto Charles Dickens (oppio), Victor Hugo (hashish) o Robert Luis Stevenson (cocaina, morfina) senza per questo essere diventati drogati. Un principio laico, liberale, di buon senso, invita distinguere i comportamenti dalle opere: si possono amare i film di Peter Fonda, i libri di Ernest Junger, l’opera di Papa Leone XIII e criticare il loro uso di droghe. Magari avessimo potuto ascoltare la voce di Fabrizio D’Andrè a Sanremo, a prescindere se rispetto all’alcol fosse o non fosse un buon maestro.
Vicenda test. Agli inizi degli anni 2000, su invito dell’Istituto Superiore di Sanità, il progetto Monitor della Regione Lazio ha contribuito a testare l’analisi del capello in soggetti consumatori di sostanze psicotrope. Ci sembrava un’ottima occasione per dotarci di uno strumento che restituisse consapevolezza a coloro che incontravamo nei contesti dell’intrattenimento notturno, mettendoli di fronte ai loro consumi rilevati nell’arco di un ampio periodo, aprendo così la possibilità di una eventuale riconsiderazione o moderazione delle loro condotte. Nei locali da ballo dove l’équipe di Monitor interveniva, veniva chiesto ai ragazzi di affidarci campioni di capelli (o peli, in presenza di skin) e di darci un nickname con il quale identificare il risultato. Appena pronta la risposta, nei medesimi locali di prelievo venivano approntati dei cartelli con i diversi nickname e l’esito dell’indagine: i ragazzi, messi di fronte alla loro realtà di consumo, avviavano insieme agli operatori una riflessione sulla loro salute, fuori da logiche punitive o stigmatizzanti, nella prospettiva dell’empowerment delle persone e dei gruppi. Inoltre si faceva ricerca: davanti al diffondersi delle pratiche di policonsumo, attraverso le analisi si raccoglievano dati importanti sulla qualità e quantità di tale fenomeno. Insomma eravamo convinti di fare scienza, aumentando la consapevolezza individuale degli assuntori e aprendo nuovi ambiti di conoscenza sul consumo di stupefacenti. Mai avremmo immaginato che l’analisi del capello si sarebbe ridotta ad una mera pratica repressiva e, in questi giorni, allo spunto per una farsa: su invito di Carlo Giovanardi, 232 parlamentari si sottopongono al test, ovviamente convinti di non risultare positivi: ma tra di loro una/o si sbaglia. A parte le paginate di giornale, e le tante foto accigliate del sottosegretario, le conseguenze per costei/costui saranno nulle, a differenza di quelle in cui incorreranno 27 ragazzi, tra i 17 e i 23 anni, svegliati alle 3 del mattino nelle loro abitazioni di Monfalcone dalle Forze dell’Ordine e condotti al pronto soccorso per sottoporsi “volontariamente” ai prelievi per il test antidroga. Della vicenda ha scritto Giorgio Bignami su fuoriluogo.it, sottolineando “il clima non certo idillico di quella notte, quando neanche uno dei 27 esercita il diritto di rifiuto dei test, quando gli operatori di pronto soccorso fanno zitti e buoni il loro dovere”. Penso sia utile sottolineare che, mentre in gran parte della sanità i test sono pratiche fortemente incoraggiate dai medici ed adottate volentieri dalle persone in quanto strumenti fondamentali per la prevenzione delle patologie gravi, solo nel campo degli stupefacenti dismettono la loro valenza di cura per assumere un profilo esclusivamente di controllo e repressione. In alcuni casi, e in alcuni palazzi, diventano motivo di burla.