Quest’anno, la riunione annuale della Commissione sulle Droghe Narcotiche (Cnd) di Vienna non ha avuto quasi storia. Una delle questioni più controverse è stato il commento critico che lo International Narcotic Control Board (Incb) ha riservato nel suo rapporto al trend di decriminalizzazione del consumo personale in Argentina, Messico e Brasile. Il Messico ha decriminalizzato il possesso di piccoli quantitativi di cannabis, eroina, cocaina e altre droghe. Di seguito è venuta l’Argentina con una sentenza della Corte Suprema che ha dichiarato incostituzionale l’arresto di cinque giovani trovati in possesso di piccole quantità di canapa. Quanto al Brasile, già nel 2006 sono state introdotte norme per sostituire il carcere con misure educative.
Quando a febbraio è uscito il rapporto dello Incb, il Washington Office on Latin America (Wola) e il Transnational Institute (Tni) lo avevano già criticato poiché il documento travalica chiaramente il mandato del Board e rappresenta una indebita intrusione nella sovranità decisionale di questi paesi. Non solo lo Incb non ha competenza in queste questioni, ma sbaglia la lettura della Convenzione del 1988. Il Board sostiene che essa impone l’obbligo assoluto di criminalizzare il possesso di droga, mentre invece il trattato esplicitamente permette una certa flessibilità in materia.
All’articolo 3 (par.2) si dice che le misure per criminalizzare il possesso per uso personale sono soggette ai “principi costituzionali di ciascun paese e ai concetti fondamentali del suo sistema legale”. Ne deriva che un paese ha l’obbligo di criminalizzare la detenzione per uso personale solo quando ciò non entra in conflitto coi propri principi legali e costituzionali. Se dunque la Suprema Corte di Argentina decide che punire la detenzione di droga finalizzata al consumo personale è contro la costituzione, non c’è alcun obbligo di stabilire quella condotta come reato penale. Nel corso della Cnd, la delegazione argentina ha protestato con vigore esprimendo “preoccupazione e rincrescimento” per la mancanza di rispetto dello Incb verso la sovranità e l’ordinamento costituzionale del suo paese; ha poi preannunciato una risposta ufficiale al Report per esigere che lo Incb “riconsideri” le sue critiche – un passo senza precedenti per uno stato. Anche il Messico ha espresso preoccupazione per le critiche del Board alla propria riforma legislativa e per la sua visione “parziale e sbagliata” della convenzione del 1988.
La riduzione del danno è stata ancora un tema controverso, come l’anno scorso. L’argomento è emerso in una risoluzione dell’Unione Europea per l’accesso universale al trattamento, alla presa in carico e al sostegno delle persone con Hiv, compresi i consumatori di droga per via iniettiva. La bozza di testo conteneva riferimenti sia al rispetto dei diritti umani che alla riduzione del danno.
Durante il lavoro preparatorio in sede di Gruppo Orizzontale Europeo sulle Droghe (Hdg), l’Italia ha cercato di eliminare il linguaggio della riduzione del danno, ma è stata rintuzzata dagli altri paesi europei: la riduzione del danno è parte integrale della strategia comune europea e del piano d’azione sulle droghe.
Nonostante la nuova amministrazione Obama, gli Stati Uniti hanno mantenuto il loro“no” al termine riduzione del danno (sostenendo che esso è usato a volte come schermo della legalizzazione e della decriminalizzazione), ma hanno fatti alcuni passi avanti. L’espressione è stata tolta dal testo ma i concetti chiave sono rimasti intatti: ci sono riferimenti allo scambio siringhe, alla terapia di sostituzione con oppiacei e ai diritti umani, si riafferma il ruolo dei consumatori nello sviluppo delle politiche: tutti temi che in precedenza gli Stati Uniti non avevano sostenuto.
In passato, gli Usa avevano capeggiato la fazione dei “duri” nella difesa dell’approccio politico tradizionale; quest’anno è toccato alla Russia, che si è opposta con vigore alla riduzione del danno e alla menzione dei diritti umani.
L’Italia è stata zitta durante la trattativa sulla risoluzione, ma molti paesi europei si sono sentiti traditi dai suoi precedenti tentativi di cambiare il testo. Forse sarebbe meglio che l’Italia lasciasse l’Unione Europa per aderire alla Federazione Russa – ha commentato nei corridoi un delegato europeo.
Articolo di Tom Blickman
Leggi l’articolo di Tom Blickman (Transnational Institute, Amsterdam) per la rubrica di Fuoriluogo sul Manifesto del 7 aprile 2010.