MILANO – Quattro proiettili dentro il cuore. Dopo aver passato 25 anni nel braccio della morte Ronnie Lee Gardner, 49 anni, ha deciso di essere fucilato, crollando sotto i colpi di un plotone d’esecuzione nel carcere di Salt Lake City (Utah). Una modalità che sembra d’altri tempi e che il condannato aveva scelto il 23 aprile: giovedì ha confermato le sue ultime volontà, dopo che il governatore dello Utah ha respinto l’ultima richiesta di clemenza presentata dai suoi avvocati. «Il caso di Gardner è stato esaminato da numerosi tribunali in modo completo ed equo»: è stata la spiegazione del governatore Gary Herbert. Pochi giorni prima un’altra istanza era stata respinta dal Board of Pardons and Parole (comitato che esamina le richieste di grazia) dello Utah. L’esecuzione è avvenuta a mezzanotte (le 8 italiane), venti minuti dopo il condannato è stato dichiarato morto. L’annuncio è andato anche su Twitter, ad opera del ministro della Giustizia Mark Shurtleff che ha mandato tre post dal suo telefonino: «Un giorno solenne. Salvo rinvio Corte Suprema e con il mio sì finale, lo Utah userà il massimo potere e giustizierà un assassino»; «Ho già dato l’ordine al direttore della prigione di procedere. Che Dio gli dia la pietà che lui ha negato alle sue vittime»; nel terzo messaggio Shurtleff ha annunciato una conferenza stampa.
IL RITUALE – Lo Utah ha abolito le esecuzioni per fucilazione nel 2004 ma coloro che erano già stati condannati in quella data hanno conservato il diritto di scegliere come lasciare questo mondo, se con il plotone o con l’iniezione letale. La fucilazione, ormai rarissima, segue un preciso rituale. Il condannato viene legato a una sedia. Cinque volontari, rappresentanti delle forze dell’ordine, si sistemano a otto metri da lui armati di fucili Winchester caricati con una cartuccia calibro 30: solo uno ha l’arma caricata a salve. Un obiettivo in tessuto bianco viene appuntato all’altezza del cuore del detenuto, un recipiente è posto ai suoi piedi per raccogliere il sangue. Dopo avere pronunciato le ultime parole, la testa viene coperta con un cappuccio e i boia fanno fuoco, senza sapere chi tra loro causerà la sua morte. Nel caso di Gardner sono stati tutti e quattro. I testimoni presenti non possono vedere il viso dei cecchini.
L’ULTIMO PASTO – «Ha voluto che nessuno lo vedesse mentre lo fucilavano. Avrei voluto essere lì per lui, gli volevo molto bene» ha detto il fratello maggiore di Ronnie Lee dopo l’annuncio della morte. Le guardie carcerarie hanno riferito che il condannato ha atteso il momento dell’esecuzione senza mostrare alcuna emozione. È rimasto calmo, ha letto un libro e guardato un film, “Il signore degli anelli”. Il suo ultimo pasto è stato: bistecca, aragosta, una torta di mele, un gelato alla vaniglia e una Seven-Up.
DUE OMICIDI – Ronnie Lee Gardner era stato condannato a morte nel 1985 per duplice omicidio. Pochi mesi prima aveva ucciso, durante un litigio, il barista Melvyn Otterstrom. Poi, al processo, tentando di scappare dal tribunale ha colpito a morte uno dei giudici, Michael Burdell. La famiglia di questi, contraria alla pena di morte, aveva appoggiato la richiesta di clemenza presentata dai legali (e respinta dalla Corte Suprema), ma la famiglia del barista si è opposta. Da 14 anni non veniva eseguita una condanna mediante fucilazione negli Usa, e dal 1976, anno in cui è tornata in vigore la pena di morte, ne erano state eseguite due, sempre nello Utah. L’ultima, 14 anni fa, è stata quella di John Albert Taylor. Con quella di Gardner, sono 1.216 le esecuzioni negli Usa del 1976 ad oggi: 1.042 per iniezione letale, 157 con la sedia elettrica, 11 con camera a gas, 3 per impiccagione, 3 per fucilazione.