Negli Stati Uniti sono in flessione (da cinque anni a questa parte) i tassi di criminalità, ma cresce il numero dei detenuti: a partire da questi dati, diffusi dal dipartimento di giustizia americano, il “New York Times” lancia l’allarme (con un articolo del gennaio scorso di Fox Butterfield), e cerca di indagare il fenomeno ricorrendo al parere di studiosi di criminologia e di diritto penale. Come è noto, il tasso di carcerazione in America è tra i più alti del mondo. Nello scorso giugno si registravano in totale 1.725.842 detenuti, sia nelle carceri cittadine e delle contee, che federali: in percentuale 645 detenuti per 100.000 abitanti, più del doppio rispetto al tasso del 1985, che era di 313 per 100.000 (in Italia è attualmente di 100 per 100.000). Ma ciò che particolarmente preoccupa è il divario fra la discesa dei tassi di criminalità e l’aumento dei tassi di incarcerazione, che, a detta degli esperti, sarebbe dovuto alla politica repressiva sulle droghe, innescando un circolo vizioso di eccessivo ricorso al carcere che si autoalimenta. Diverse sono le ragioni di questo scarto, a cominciare dalla più semplice: negli indicatori di criminalità, l’FBI non calcola i reati per consumo e spaccio di droghe, ma solo gli assassini, i furti e le rapine. Ma, come sottolinea Alfred Blumstein, un criminologo della “Canergie Mellon University”, sin dagli anni Settanta, i crimini per droga hanno inciso per più di un terzo nella crescita della popolazione carceraria, e dal 1980 il tasso di incarcerazione per droga è cresciuto del 1000 %. Attualmente il tasso di incarcerazione per i soli reati di droga è di circa 145 per 1000: che è molto più alto del tasso medio di detenzione per tutti i reati, quale si registrava fino agli inizi del 1970 (110 su 100.000 abitanti).
John Di Iulio, docente di scienze politiche alla “Princeton University”, ha calcolato che il 25% di coloro che entrano per la prima volta in carcere nello stato di New York hanno unicamente violato le leggi anti-droga, senza alcuna imputazione per altri crimini. L’altro fattore è che il boom del ricorso al carcere tende a perpetuarsi per dinamiche interne al fenomeno. Più cresce il numero di detenuti, più probabilità ci sono che questi cittadini, una volta rilasciati, commettano di nuovo reati, anche per l’effetto di “scuola di criminalità” del carcere stesso. Per di più, molti detenuti escono in libertà condizionale, ma un numero sempre crescente è di nuovo arrestato perché non rispetta le condizioni imposte. Un caso comune è il rientro in carcere in seguito al risultato positivo del test delle urine per il consumo di droghe. Così, paradossalmente, è più facile che si riaprano le porte del carcere per chi ha commesso i reati più lievi, come quello del consumo.
A parere di Allen Beck, capo del dipartimento statistico carcerario dell’ufficio di Giustizia, ciò spiega perché, dal 1980, sia costantemente in crescita il fenomeno del reingresso in carcere degli stessi soggetti per la seconda volta e anche più. Contribuisce inoltre all’aumento del numero dei detenuti, pur in presenza di una flessione della criminalità, la tendenza a emettere condanne a pene detentive più lunghe e a limitare la libertà condizionale. Secondo Franklin Zimring, dell’Università di Berkeley in California, è particolarmente preoccupante che nell’ultimo anno l’incremento più significativo si registri nelle prigioni delle città e delle contee, mentre, in precedenza, la crescita riguardava soprattutto i penitenziari federali. Le prime accolgono i detenuti in attesa di giudizio, oppure i condannati a pene inferiori a un anno, mentre nelle carceri federali sono rinchiusi i condannati a pene più lunghe. Nel sistema giudiziario americano la decisione di incarcerare l’arrestato nelle prigioni delle contee è presa spesso quasi subito dopo l’arresto, quando il giudice decide sulla possibilità del rilascio su cauzione. Perciò, conclude Zimring, i dati riguardanti le prigioni delle città e delle contee sono una specie di indicatore di tendenza nel funzionamento della giustizia, e i detenuti di oggi in queste prigioni saranno con ogni probabilità i detenuti di domani nei penitenziari federali. Come dire che il sistema repressivo si sviluppa secondo logiche autoreferenziali, non più correlato all’estensione e alla gravità dei crimini. Per un Paese che si vantava e si vanta di essere la patria delle libertà, questa suona come una condanna senza appello.