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Sulla legalizzazione delle droghe leggere bisogna ritornare. È ora di dare una scossa a un dibattito che non può continuare a seguire il solito copione: da una parte, chi invoca un generico e ideologico “No alla droga” per mantenere le cose come stanno; dall’altra, chi misura la difficoltà a ottenere un risultato parlamentare in questa materia. Le opinioni, tra i cittadini come tra gli operatori, sono in movimento e oggi è diventato possibile far valere maggiormente le ragioni della legalizzazione. Ripetiamole ancora una volta: legalizzare le droghe leggere è un atto di buon senso perché rende esplicita l’enorme differenza tra le droghe pesanti e quelle, come i derivati della cannabis, che non hanno mai ucciso nessuno; perché separa i mercati, evitando che chi vuole procurarsi uno spinello venga a contatto con chi spaccia anche altre sostanze; perché riduce l’area della clandestinità, che è un male in sé. Dovremo insistere, ancora una volta, che la legalizzazione è una forma di regolamentazione, mentre oggi, nel regime di illegalità generalizzato, di fatto si può fare tutto. Se daremo vita a una nuova stagione di discussione, una vera e propria campagna capace di chiamare in causa anche forze sociali e della cultura, credo tuttavia che non potremo limitarci a questi argomenti. È sotto gli occhi di tutti che in materia di droghe il dibattito italiano è intrecciato alla competizione politica: e infatti di politica bisogna d’ora in poi parlare più esplicitamente. È venuto il momento di chiedere conto al Polo delle Libertà come concilia le richieste di depenalizzazione, o indulto, o amnistia, o soluzione politica per Tangentopoli e i suoi imputati con l’atteggiamento punitivo, chiuso a ogni alleggerimento della dimensione penale e repressiva per i consumatori di droghe, persino quando si tratta di spinelli. Si tratta di una “doppia morale” indecente, che giudica più grave per la società lo spinello della corruzione. Di questo impresentabile garantismo riservato ai potenti che anima la destra bisogna cominciare a parlare apertamente agli italiani: non certo allo scopo di invocare il carcere per tutti, ma per mostrare il cinismo di una politica che della droga (e dei diritti dei cittadini) fa un uso strumentale e di comodo. Anche all’Ulivo, che ha preparato una propria proposta sulla giustizia, va chiesto conto di una scelta incomprensibile, ovvero quella per la depenalizzazione dei reati minori che esclude la legislazione sulle droghe. Dopo gli impegni presi dai ministri Turco e Bindi alla Conferenza di Napoli, e a fronte di tante sentenze della magistratura più avanzate dell’attuale legge, siamo di fronte ormai a un problema di credibilità della coalizione. Sono convinta che l’altro argomento da introdurre con maggior convinzione nella discussione riguarda le esperienze già fatte. So bene di sfondare una porta aperta con chi propone politiche di riduzione del danno: quante volte abbiamo detto che sono i fatti a mostrare il fallimento del proibizionismo! Credo tuttavia che ciò che va detto più esplicitamente è che i nemici della legalizzazione puntano sull’oscuramento dei fatti e delle esperienze. Mentre si discute di far partecipare direttamente i cittadini all’elezione dei massimi organi dello Stato si scommette sull’ignoranza dei fatti, si punta sul comizio imbonitore, si fugge dalla discussione pacata sui dati di realtà. Tante volte abbiamo raccontato l’esperienza olandese, ma ciò che va aggiunto al racconto è la considerazione che molti, delle scoperte fatte sperimentando, non vogliono che si parli. “Sulle droghe ti tengono all’oscuro” dovrebbe essere lo slogan, naturalmente argomentato, che accompagna i nostri ragionamenti. Molto altro dovremo mettere in campo per rilanciare la questione della legalizzazione e predisporre le condizioni per un successo parlamentare. Intanto bisogna cominciare, non lasciandosi sfuggire l’occasione del dibattito sulla giustizia e il ruolo del penale, che è in corso nel nostro Paese.

* Parlamentare, responsabile Sanità DS