Tempo di lettura: 3 minuti

Evviva, persino il quotidiano radical inglese The Independent cambia idea sulla cannabis e, dieci anni dopo aver lanciato la campagna per decriminalizzarne il consumo, in un editoriale di domenica firmato Jonathan Owen recita il mea culpa. Il perché è presto detto: il prestigioso tabloid ci racconta che nel frattempo in Gran Bretagna, sul mercato illegale di stupefacenti, si è diffusa una varietà di marijuana, la Skunk, «ben 25 volte più potente» di quella comune, e «più pericolosa dell’ecstasy e dell’Lsd». Una sostanza che sta diventando un vero e proprio dramma per gli adolescenti inglesi. Tanto che «nell’ultimo anno più di 22 mila persone, la metà minorenni, ha chiesto aiuto ai servizi». Ma l’Independent va oltre e, anticipando il prossimo numero della rivista scientifica Lancet, cita uno studio che proverebbe il rapporto tra l’uso della cannabis e alcune malattie psichiche, come la schizofrenia. Lo fa in tre righe: poche battute per spiegare un punto su cui la comunità scientifica internazionale dibatte da almeno 20 anni.
Evviva, dunque. Peccato però che è come dire: scusate ci siamo sbagliati, dieci anni fa parlavamo di alcol intendendo Barolo e oggi abbiamo scoperto l’esistenza dei superalcolici che uccidono. A pensarla così sono in molti e non solo antiproibizionisti. Abbiamo raccolto tre pareri: il sociologo Guido Blumir autore di numerosi saggi sulla cannabis, il tossicologo Gian Luigi Gessa, docente di Neuropsicofarmacologia all’università di Cagliari, uno dei più autorevoli esperti italiani in materia, e il professor Piergiorgio Zuccaro, direttore dell’Osservatorio fumo alcol e droga dell’Iss e membro della commissione che stilò le famose tabelle correlate alla Fini-Giovanardi poi ritoccate dalla ministra Livia Turco.
Premesso che tutti aspettano di vedere lo studio del Lancet, Blumir fa notare che «la skunk è una sostanza psichedelica, più vicina all’Lsd che all’ecstasy. Nasce circa 17 anni fa come incrocio tra le più potenti qualità conosciute: l’afghana, la Mexican Acapulco gold e la Colombian gold e ha circa il 25% di Thc (principio attivo), mentre la marijuana di bassa qualità ne contiene il 5%». Niente di nuovo nell’articolo, per Blumir, perché da tempo «c’è un mercato giornalistico che richiede questo tipo di studi sulla cannabis fatti da università non prestigiose in cerca di visibilità, un po’ come le foto di Corona. Come dice Lester Grispoon, docente di Harvard, per nessun altro farmaco sono mai stati ripetuti studi così a lungo senza per altro mai arrivare a risultati certi. A fronte di 15-17 lavori che ipotizzano legami di causa effetto con la schizofrenia, ce ne sono circa 40 mila che dicono il contrario». In Italia però, come a Londra, è infinitamente più facile trovare della buona cocaina, conclude Blumir che suggerisce agli inglesi, «che non hanno il Vaticano», di «legalizzare la cannabis comune e non la Skunk: l’unico modo di informare il consumatore sulla pericolosità, le controindicazioni e le malattie che potrebbe scatenare. E salvaguardare così gli adolescenti che sono i più esposti nel mercato illegale».
Anche Zuccaro sostiene che «un allarme di carattere generale non è utile» e che «nel mercato illegale non si va col bilancino in mano». «L’Independent fa marcia indietro perché loro sostenevano la liberalizzazione: è un fatto politico ma che riguarda solo quel giornale», dice. E avverte: «Che il Thc sia una sostanza che faccia male non c’entra però con la soglia che distingue il consumatore dallo spacciatore». Una soglia, aggiunge, «stabilita solo dalla politica».
Per Gessa «la cannabis fa male ai giovanissimi non adeguatamente seguiti che possono sviluppare dipendenza e essere spinti a sperimentare altre sostanze. Ed è pericolosa per coloro che hanno un disturbo mentale latente, come la schizofrenia, che può essere svelato sotto l’effetto dello stupefacente». Fumare quindi non aumenta il rischio di malattie mentali ma le può rivelare. «Lo riferiscono molti studi universalmente riconosciuti, come quello di Andreasen che seguì per 10 anni circa 8 mila soldati di leva scoprendo che tra i consumatori di cannabis c’era una percentuale di schizofrenici superiore di 4 volte rispetto ai non fumatori. A Differenza dei falchi del proibizionismo l’interpretazione di molti è che le persone schizofreniche sono più attratti dalla marijuana, come pure dalle sigarette, perché fumare li fa stare meglio in quanto stimola la produzione di dopamina da parte del sistema limbico che controlla desiderio e piacere». Naturalmente tutto dipende dalle dosi: «Grosse quantità possono anche produrre effetti deliranti». «Nulla di permanente però: anche la mancanza di memoria e i rallentamenti nell’apprendimento tipici, o le crisi di ansia e panico che però ne scoraggiano l’uso, spariscono dopo poche ore». «Una droga comunque che, come l’Lsd, non uccide: niente a che vedere con le migliaia di morti l’anno da alcol e tabacco», conclude Gessa che su una cosa non ha dubbi: «Legalizzare significa mettere regole, mentre col proibizionismo paradossalmente lo stato non tutela gli adolescenti che hanno a disposizione un mercato senza regole aperto 24 ore su 24».