31 agosto 1998: Mariano Decarli, 44 anni, operaio (metalmeccanico) celibe, e Wilma Polini, nubile, casalinga, sporgono denuncia presso la questura di Trento. Niente di particolare, in apparenza. Di denunce se ne fanno tante. Né stupisce troppo il fatto che, in realtà, Decarli e Polini costituiscano una famiglia, anche piuttosto stabile: infatti convivono da tempo, ed hanno due figli. Qualcosa però rende il tutto peculiare ed ancor oggi significativo: Decarli e Polini, operaio e casalinga, proprio come “tutti”, fanno una cosa che da tutti non è, nel senso che ci vuole coraggio. Tossicodipendenti, in trattamento con metadone presso il servizio pubblico, denunciano il direttore del Sert, perché ha illegittimamente stabilito di “scalare” le dosi di metadone, rovinando la loro esistenza. Decisione assunta dal medico con la giustificazione che “…che la delibera provinciale lo obbligava alla somministrazione di un massimo di 80 milligrammi di metadone”: così recita il testo della denuncia firmata dai due. C’è anche una decisiva, drammatica precisazione: “L’iniziativa del citato medico sta creando ad entrambi danni materiali e morali tangibili in quanto ci siamo dovuti riavvicinare all’uso dell’eroina, dal quale ci stavamo allontanando”. La denuncia è di fine agosto ’98. Durante l’estate Decarli e Polini avevano trovato un medico disponibile a prescrivere il metadone, farmaco e oppiaceo sostitutivo rispetto all’eroina, in dosaggi per loro adeguatamente alti: sufficienti, quindi, dato la loro situazione di consumatori “storici” di lunga data, ad evitare i sintomi dell’astinenza dall’eroina stessa. A fine agosto torna Raffaele Lovaste, direttore del Sert, blocca il tutto, e i due lo denunciano. Il seguito della storia chiarirà che non è solo questione di delibere: piuttosto esplode a spese di Decarli e Polini (purtroppo anche di molti altri, il loro in realtà è un caso esemplare) quello che si può definire un conflitto tra “paradigmi terapeutici”. Nell’autunno del ’98 lo scontro diventa pubblico, politico. Scendono in campo l’azienda sanitaria, la Procura di Trento, l’Ordine dei medici, e la polemica rimbalza sulla stampa. Vita trentina, un giornale locale, va al cuore del problema. “Ci sono casi di tossicodipendenti storici che solo con dosi molto alte possono condurre una vita sociale e non essere pericolosi per la collettività…..” La risposta del dottor Lovaste è inequivocabile: “Nostro compito è pensare comunque alla riabilitazione. Non riesco a pensare a una persona con metadone a vita”. Ma quali prezzi intanto Decarli e Polini devono pagare per “riabilitarsi”? La storia non finisce lì. A ottobre, con la polemica rovente in corso, Decarli chiede all’impresa dove lavora un’aspettativa per motivi di salute, che gli spetta, come tossicodipendente, in base alle leggi e al contratto di lavoro. Risposta dell’azienda: “ti diamo un po’ di soldi e te ne vai”. “Non ritroverò facilmente un posto” dice lui “per queste cose fra le aziende c’è un passaparola: quello li è meglio non averlo tra i piedi”. Il sindacato, la Fiom trentina in questo caso, si batte per lui, non molla. Decarli ha diritto alla sua aspettativa, e soprattutto ha diritto alla conservazione del posto di lavoro. Non era scontato questo atteggiamento del sindacato, e non si tratta di un impegno superficiale. Giorgio Garbellini, della segreteria provinciale dei metalmeccanici Cgil coglie l’esemplarità del caso, scrive, si ostina. A gennaio di quest’anno esce una sua fermissima intervista all’ Adige, il quotidiano della provincia. A tutt’oggi la battaglia con “Sovilla serramenti s.r.l.” è ancora aperta. Ma, forse, non solo con la “Sovilla”…
Diritti e dosaggi
Articolo di Redazione
Un caso esemplare. Il metadone finisce in tribunale.