Tempo di lettura: 2 minuti

Il dibattito sulla riduzione del danno entra, dopo la Conferenza di Ginevra, in una fase più matura della riflessione, dalla quale emergono temi da non sottovalutare: il binomio salute pubblica/ordine pubblico, ad esempio, e l’altrettanto stimolante binomio riduzione del danno/prevenzione. E, come filo conduttore tra questi, il tema dei diritti. Non è un dato scontato che qualsiasi soggetto, in qualunque fase della sua vita si trovi, “sobrio” (come si usa dire per l’alcool) o legato ad una sostanza, garantito socialmente o in condizioni di marginalità, libero o detenuto, sia comunque un cittadino portatore di diritti, che la collettività deve tutelare e, anzi, stimolarne la consapevolezza, se l’individuo non è in grado di rivendicarli da solo. In primo luogo il diritto alla salute: si nota che qualsiasi programma pur minimo di “scambio siringhe” si inserisca in un progetto più ampio di “prendersi cura”, di promozione dello star bene, di garanzia di pur minimi livelli di benessere. Colpisce, pensando alla situazione carceraria italiana, in cui anche l’applicazione delle leggi e dei regolamenti sembra essere diventata pericolosamente sovversiva, che in altri paesi, la Germania, ad esempio, si parta da una valutazione molto pragmatica, con programmi di riduzione del danno e distribuzione di siringhe nelle stesse carceri. Ne ha parlato Stover, dell’Università di Oldenburg. Si tratta di un progetto pilota durato due anni, che ha dimostrato – come era nelle aspettative – il miglioramento delle condizioni di salute dei detenuti, e anche dei “di più” significativi, come l’aumento di utilizzo di altre misure terapeutiche, l’uso maggiore dei servizi anche dopo il rilascio e anche una sensibilizzazione maggiore del personale di custodia su questi temi. Il diritto alla salute, inoltre, pur costituendo una spesa, si dimostra un investimento non solo per il singolo ma per l’intera comunità: ricerche svolte in paesi diversi, compresa la Svizzera, che indubbiamente con la finanza ci sa fare, verificano un positivo rapporto tra benefici e costi dei programmi attuati. In secondo luogo, ma non secondario, il diritto al mantenimento o alla ricostruzione delle reti relazionali in cui il soggetto è inserito. Le esperienze di lavoro di strada, la sottolineatura della peer education, metodo di intervento che si basa sulla risorsa costituita dal gruppo dei pari e sulla rete di sostegno che a partire da esso si può sviluppare, costituiscono l’approccio ormai più accreditato, illustrato alla Conferenza da delegati provenienti da situazioni molto eterogenee, come l’Australia, il Brasile, gli Stati Uniti o la Danimarca. In quest’ottica viene individuato come momento centrale l’attenzione ai rapporti sociali e interpersonali, che getta un ponte tra individuo e collettivo, e ribadisce il principio che i problemi nascono in un contesto, ed è il contesto che può trovare le possibilità di gestirli, senza attese miracolistiche ma anche senza depressione rinunciataria.