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Si è messo in testa un’idea meravigliosa. Buttare eroina e cocaina, entro dieci anni, nella pattumiera della storia. Si chiama Pino Arlacchi e guida l’agenzia ONU per il controllo della droga (UNDCP). Il cardine del suo programma, annunciato nel 1998, dovrebbe essere la sostituzione delle colture illegali con colture legali, unita allo sviluppo economico delle aree produttrici e alla riduzione della domanda. Purtroppo queste sono belle parole che sentiamo da sempre, mentre i fatti sono che, nonostante l’inasprirsi della “guerra alla droga”, tutte le sostanze illecite sono diventate sempre più disponibili. La sostituzione delle colture è sempre stata molto più facile a dirsi che a farsi. Il suo effetto più tipico è stato chiamato “effetto materassino di gomma”: schiacci qua e si gonfia là. Le colture illegali si sono spostate da una zona all’altra o addirittura da un’area geografica all’altra. Localmente, gli effetti negativi hanno in genere superato quelli positivi, dato che la voce “sviluppo” è per lo più rimasta sulla carta. Spesso intere comunità rurali si sono trovate di colpo impoverite, essendo state spinte a sostituire la coca o il papavero con prodotti invendibili , non convenienti o ecologicamente dannosi . E nelle aree in cui, secondo le autorità, la sostituzione procedeva troppo lentamente, si sono semplicemente distrutte le coltivazioni, illecite e lecite insieme, con diserbanti Solo la strenua opposizione dei movimenti di difesa dell’ambiente e delle comunità indigene, unita alla riluttanza della ditta produttrice, ha finora evitato che gli USA facessero irrorare l’area amazzonica di coltivazione della coca col il famigerato tebuthiuron, un prodotto che avrebbe risparmiato molta fatica ad Attila. In fondo è anche grazie a queste politiche, oltre che all’opera del dio-mercato, se la Colombia, dove fino a dieci anni fa non esistevano papaveri, è oggi il primo fornitore di eroina (oltre che di cocaina) degli Stati Uniti (DEA 1996), e se le prime coltivazioni di papavero e di coca sono apparse anche in Africa. Arlacchi ha ripetutamente sostenuto che – per la prima volta – si è risoluti a fare sul serio, e che il suo programma verrà portato avanti fino in fondo. Trainati dagli USA, la maggioranza dei governi almeno a parole lo appoggia incondizionatamente e l’Italia ha anche aumentato il suo contributo all’UNDCP. Ma oltre a quelli a cui si è accennato, ci sono altri motivi per non valutare positivamente programmi di questa natura. Ne citerò solo due. Il primo riguarda l’attuazione di programmi di lotta biologica contro le piante illegali. Già nel 1990 si parlò di un bruco contro la coca. Più recentemente (1998) è giunta notizia di un fungo geneticamente modificato, creato in Uzbekistan con l’aiuto di Gran Bretagna e Stati Uniti, per attaccare il papavero. Su questo punto occorre il massimo allarme, perché qui si gioca all’apprendista stregone, costruendo in laboratorio esseri viventi artificiali, e liberandoli nell’ambiente in spregio agli equilibri biologici nati da milioni di anni di evoluzione. Che cosa faremmo se questi mostriciattoli – per umani errori di valutazione o per naturale adattamento – si mettessero dopo qualche mese o anno ad attaccare, direttamente o indirettamente, anche altre specie di piante, magari fra quella dozzina circa da cui dipende totalmente l’alimentazione dell’umanità? Il secondo punto riguarda la disponibilità di droghe sintetiche, che non dipendono dalle colture proibite. Oggi le sostanze di sintesi coprono tutto lo spettro delle droghe naturali (anzi, con quelle tipo ecstasy lo stanno ampliando). Il loro mercato è in pieno sviluppo e il mondo è pieno di ottimi chimici senza lavoro. Per cui, anche se Arlacchi riuscisse davvero ad estirpare il papavero e la coca, il problema non morirà. Usare sostanze psicoattive è nel patrimonio, se non genetico, almeno culturale dell’uomo di tutti i tempi e sotto tutte le latitudini. Se Arlacchi – come altri prima di lui di cui non voglio ricordare il nome – ha in mente di far nascere un’umanità nuova, è bene che ce lo dica.