Due milioni di prigionieri
Un articolo di V.Zucconi su Repubblica del 14 dicembre 1999 ha rivelato che gli USA sono il Paese con il più alto numero di galeotti al mondo: 1.983.000, con previsione di raggiungere i due milioni per il febbraio 2000, con un rapporto fra popolazione e prigionieri del 7,35 per mille (contro lo 0,83 dell’Italia, 0,9 della Germania e della Francia, 1,2 del la Gran Bretagna). La notizia è clamorosa perché appena tre anni fa, nel 1997, si parlava di 1,6 milioni di detenuti, che era comunque già una bella cifra, di gran lunga superiore ai dati degli altri paesi occidentali. Perché questo incredibile aumento? Forse che è aumentato l’indice di criminalità, o l’efficienza dell’apparato giudiziario? Niente di tutto ciò. La causa determinante dell’esplosione del numero dei carcerati USA dipende dall’aumento della repressione per i reati di droga: “Un milione di persone (…) sono incarcerati per possesso o spaccio” di droga. Il fenomeno è dovuto in parte all’inasprimento delle pene (“obbligatorie le sentenze senza condizionale, tre condanne e poi l’ergastolo”), ma anche e soprattutto dalla decisione politica di perseguire i reati di droga (che includono anche il possesso di piccoli quantitativi per uso personale e il piccolo spaccio) in maniera prioritaria rispetto agli altri reati. Fra le vittime della repressione, un posto di rilievo hanno in consumatori di marijuana: nel 1997, sono stati eseguiti ben 695.201 arresti per marijuana, di cui l’87% per semplice possesso. (The Criminal Justice Policy Foundation, 18 Marzo , 1999, p11). La cosiddetta “guerra alla droga” è tuttora in USA è molto popolare, ma forse lo sarebbe un po’ meno se la gente sapesse quanto costa ai contribuenti: 20 mila dollari all’anno (poco meno di 40 milioni di lire) a ciascun cittadino. Per non parlare delle spese per costruire le prigioni. 213 nuove prigioni sono state costruite fra il 1990 e il 1995 (AP 070897, cit da HT 0398 p 32). A partire dal 1995, sotto la Presidenza Clinton, la spesa USA per le prigioni ha scavalcato quella per le Università: è infatti aumentata di ‘6 milioni di dollari (per un totale di 2.6 miliardi all’anno), mentre quella per le università è diminuita di 954 milioni (per un totale di 2,5 miliardi) (The Criminal Justice Policy Foundation, 18 Marzo, 1999). Un particolare generalmente ignorato (e non segnalato neppure dall’articolo di Repubblica) è che la caccia ai reati di droga è incoraggiata da una norma legale molto speciale: la legge USA consente agli inquirenti il sequestro dei beni di coloro che sono accusati di reati di droga fin dal momento dell’arresto; l’accusato potrà eventualmente recuperarli soltanto in caso di assoluzione, attraverso un nuovo processo, in cui dovrà provare che i beni sequestrati non sono i proventi dei suoi traffici di droga. Ma non basta. Una parte considerevole dei beni sequestrati viene incamerata direttamente dalla polizia e/o dai magistrati inquirenti, cioè da coloro che costruiscono l’accusa. Insomma, trattandosi di una “guerra alla droga”, la legge americana prevede anche una sorta di diritto al bottino per i suoi soldati – alla faccia del garantismo! Abbiamo letto ripetutamente che la politica della droga degli USA viene considerata un esempio da seguire dalla “zar” della droga dell’ONU: l’italiano Pino Arlacchi, che è stato parlamentare candidato per la sinistra. Saremmo curiosi di sentire qualche commento sulla situazione degli USA sia dell’On. Arlacchi, sia di coloro (in particolare i DS) che l’hanno candidato per il centrosinistra, sia degli elettori toscani che a suo tempo lo elessero in parlamento e, indirettamente, al ruolo di zar mondiale della droga. (a cura di Giancarlo Arnao, responsabile scientifico di Forum Droghe)
USA: anche gli elettori del Maine approvano la marijuana terapeutica
Il 2 Novembre scorso, il referendum che consente l’uso terapeutico di canapa è stato approvato dagli elettori del Maine, col 61% dei voti: i pazienti con determinate patologie, che abbiano tentato altre terapie senza successo, possono coltivare o detenere piccole quantità di canapa su consiglio di un medico. Il Maine è l’ultimo di sette stati che hanno già approvato simili referendum (gli altri sono l’Alaska, l’Arizona, il Colorado, il Nevada, l’Oregon e lo stato di Washington, ma il Colorado dovrà ripetere la consultazione nel 2000, essendo la precedente stata annullata per alcune presunte irregolarità). L’uso medico della marijuana sembra sempre più popolare in America, anche se l’atteggiamento delle autorità federali rimane rigido e la marijuana, sotto la legge federale rimane classificata nella tabella I, fra le droghe più pericolose, il cui semplice possesso può portare all’incarcerazione. Barney Frank, membro liberaldemocratico del Congresso, ha per ben due volte presentato un disegno di legge per riclassificare la marijuana nella tabella II, che contiene le sostanze per cui può essere autorizzato l’uso medico. Ma questo disegno non è mai stato approvato dal Congresso. Si delinea sempre più un conflitto tra le leggi a livello statale e federale. I malati di cancro o di glaucoma del Maine, se trovati in possesso di marijuana, potrebbero ugualmente essere incriminati e arrestati per la legge federale. Tuttavia, a detta di Allen St Pierre, direttore dell’Organizzazione Nazionale per la riforma delle leggi sulla marijuana, la nuova legge statale renderà comunque più cauti i pubblici ministeri. E infatti il procuratore federale del Maine, Jay McCloskey, ha dichiarato di voler perseguire lo spaccio, non il consumo o la coltivazione ad uso personale ” di tre o sei o anche 60 piante”. Nel distretto di Columbia, il voto favorevole alla canapa medica del 69% dei cittadini è di fatto stato annullato con un emendamento contenuto nella legge di stanziamento di quest’anno che proibisce allo stato di introdurre per la marijuana una regolamentazione diversa da quella del governo federale. Anche l’amministrazione Clinton è implacabile. Donna Shalala, ministra della Sanità, è ferma nel sostenere che la marijuana è una droga pericolosa. E nel 1997, il Procuratore Generale Janet Reno aveva dichiarato che i medici di qualsiasi stato che avessero prescritto la marijuana ai pazienti avrebbero potuto perdere la licenza di prescrizione di medicinali ed esser perseguiti penalmente. Tuttavia il trend favorevole alla canapa continua, anche oltre l’uso medico: il governatore repubblicano del Nuovo Messico, Gary Johnson ha di recente dichiarato che la “guerra alla droga” è un fallimento e che la marijuana dovrebbe essere legalizzata alla pari dell’alcol. (Fonte: The Economist, U.S. edition, 4 Dicembre 1999, a cura di Grazia Zuffa)
Australia: l’UNDCP (comitato di controllo sulle droghe dell’ONU) contro la sperimentazione di interventi di riduzione del danno)
L’UNCDP ha comunicato al governo statale del Nuovo Galles del Sud e al governo federale australiano che i previsti programmi sperimentali per l’istituzione di safe injection rooms (sale per le iniezioni pulite) sarebbero in contrasto con le convenzioni internazionali sulle droghe del 1961: istituendo quei programmi, il governo statale sarebbe considerato autore di favoreggiamento per il reato di detenzione e uso di sostanze stupefacenti. Il comitato di Vienna ha anche detto al premier del Nuovo Galles, Bob Carr, e al ministro responsabile del progetto, John Della Bosca, che questo esperimento invierebbe il messaggio ” che l’Australia è un luogo dove si possono consumare impunemente le sostanze illegali”; aggiungendo che ” come paese che ospiterà i giochi olimpici del 2000, l’Australia dovrebbe invece promuovere stili di vita senza abuso di sostanze e rispettosi della salute”. Il primo ministro del governo federale, John Howard, ha perciò chiesto al premier Carr di soprassedere al progetto in attesa che le osservazioni dell’ONU circa le implicazioni internazionali dell’esperimento siano discusse nel Commonwealth , insieme a tutti gli stati e i territori dell’Australia. Analoga richiesta è stata indirizzata da Howard allo stato di Vittoria e allo stato del Territorio della capitale dell’Australia: anch’essi stanno progettando l’apertura di safe injection rooms. Già in precedenza questi interventi di riduzione del danno erano stati messi in cantiere nello stato del Territorio della capitale dell’Australia, e poi bloccati per le medesime obiezioni di supposta violazione delle normative internazionali e del Commonwealth. Circa l’esperimento nel Nuovo Galles del Sud, le “sale per le iniezioni pulite” dovrebbero essere aperte a Sidney e gestite dalla Uniting Church, la chiesa protestante che riunisce metodisti e presbiteriani. In un primo tempo il servizio avrebbe dovuto esser affidato all’ordine ospedaliero cattolico delle “Sorelle della Carità”, ma l’ordine si era ritirato per l’opposizione del Vaticano. I protestanti hanno allora avanzato la propria candidatura. Il reverendo Harry Herbert, presidente della commissione responsabilità sociale della Uniting Church, ha dichiarato che la sua chiesa non si sottrarrà alle sue responsabilità morali, perché ” le sale da iniezione, anche se non sono “la soluzione” all’uso di droga, sono però parte della soluzione”. (Fonti: Agenzia Ansa, 30 Novembre, The Australian, 15 Dicembre, a cura di g.z.)